Mario Dondero: fotografare è conservare vite, come l'Archivio di Pieve. Il diario di Ester Marozzi "Maestra Cassandra"

Le otto storie finaliste del premio dei diari di Pieve Santo Stefano 2015

dondero

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AREZZO 28 agosto 2015 - MARIO DONDERO , premio "Città del diario" 2010, è un fotografo e fotoreporter, grande amico di Saverio Tutino, il fondatore dell'Archivio dei diari di Pieve Santo Stefano. Anche lui con la sua macchina fotografica ha raccontato vite e storie, anche lui sente di far parte di questo prezioso archivio. Suo il commento che accompagna uno degli otto diari finalisti del Premio Pieve 2015, il cui vincitore verrà proclamato a Pieve Santo Stefano durante la tre giorni dal 18 al 20 settembre con un'anteprima il 4 settembre alle 17,30 nel giardino pensile della Provincia ad Arezzo in collaborazione con La Nazione. Così scrive Dondero : " L’Archivio dei diari l’ho visto nascere ancora prima che esistesse _ scrive _ . Sembra incredibile ma è così, ho avuto il privilegio di scorgerlo nella testa di Saverio Tutino quando eravamo insieme a Parigi, quando ancora non esisteva la sede di Pieve Santo Stefano. Ho sempre pensato che tra la mia attività di fotografo e quella di raccogliere, custodire e trasmettere testimonianze autobiografiche, esistano profonde somiglianze. Entrambe offrono l’opportunità unica di entrare a contatto con le persone. Fotografare è un’operazione che implica un grande tatto e un immenso rispetto per gli altri. Occorre avere un approccio graduale, non bisogna mai dimenticare che fotografare è come rubare la vita altrui. Prima di tutto devi farti accettare dalla persona verso la quale punti il tuo obiettivo, conquistarne la fiducia. Poi devi trovare il momento e l’occasione giusta per fotografarla. E non è nemmeno detto che si debba sempre scattare una fotografia. Chi si propone di conservare le storie di vita degli altri, come fa l’Archivio, deve usare le stesse accortezze: la gradualità dell’approccio con chi sta per affidarti una parte di sé, conquistare la fiducia e trovare il momento opportuno per raccogliere i frutti del proprio lavoro, senza perdere di vista il valore preminente della vita vissuta. Fare fotografie non è mai stato mio interesse principale, ma ho sempre pensato alla fotografia come una specie di colla per tenere vicine le persone. Anche in questo, è qualcosa di simile a quello che fa l’Archivio dei diari, tenere legate le persone di ieri e di oggi attraverso questa specie di colla che sono i racconti autobiografici".

IL DIARIO DI ESTER MAROZZI "MAESTRA CASSANDRA 1939-1944"

HA SCRITTO da maestra quale è Ester Marozzi, non per se stessa, non per rivelare alla carta dettagli della propria esistenza, ma perchè suo figlio attraverso quegli appunti potesse scrivere la verità sul fascismo e sul nazismo, sui due leader che avrebbero portato l’Italia e l’Europa sull’orlo del baratro. La sua missione sarebbe dovuta diventare la missione del figlio. Ma c’è un particolare. Ester comincia a scrivere e a prevedere la catastrofe già nel 1939, alla vigilia di tutto, per questo quando il diario è stato scelto tra le otto storie finaliste del Premio Pieve 2015, la manifestazione che si terrà a Pieve Santo Stefano dal 18 al 20 settebre, con un’anteprima il 4 settembre nel giardino pensile della Provincia, Ester è stata ribattezzata «Maestra Cassandra». E come la sacerdotessa del tempio di Apollo purtroppo vedrà avverarsi il peggio. Ma forse non avrebbe mai immaginato che quel diario, trascritto dal figlio, tramandato al nipote, sarebbe diventato un finalista del Premio Pieve 70 anni dopo l’ultima guerra.

ESTER MAROZZI, nasce nel 1885 a Santa Giuletta di Pavia e fa la maestra a Milano. E’ un’antifascista convinta e capisce subito quello che sta per succedere e sente il bisogno di mettere nero su bianco le sue emozioni. Il 1 aprile 1939 comincia a scrivere il diario: «Questi non sono che appunti che potrebbero servire a me o a mio figlio come punto di appoggio per scrivere la storia di questo drammatico periodo della nostra vita di popoli dopo che tale periodo abbia avuto la sua conclusione». Cinque mesi dopo la Germania nazista invade la Polonia scatenando il più grande massacro della storia. Ester legge i giornali, ascolta i proclami, ha intuizioni al limite della veggenza, analizza lucidamente questa fase storica. Nel diario non c’è spazio per affetti e figli, ma solo segnali di guerra. Paurosi, inevitabili, confermati da un discorso di Hitler del 2 aprile che Ester commenta: «Questo linguaggio ben lo sentii risuonare nel 1914, e fu accompagnato dai fatti (invasione del Belgio, violazione dei trattati). Nessuna soluzione di continuità esiste tra lo spirito che animava la Germania del 1914 e quello che anima la Germania del 1939. Venticinque anni non furono che una battuta d’aspetto. L’Italia lo tenga presente». Le previsioni che affida a quelle pagine si riveleranno esatte. Il 28 aprile il Führer risponde al presidente degli Stati Uniti Roosevelt: «Il discorso di Hitler – commenta ancora la maestra – è una ipocrita professione di fede pacifista. Il tono sereno e ragionevole del discorso non risponde alla verità delle intenzioni. L’avvenire è torbido».

E DOPO HITLER, Mussolini. Ester tutti i giorni, fino al 5 luglio 1944, denuncia le responsabilità di Mussolini e dei gerarchi. Con tutti i mezzi, anche con sarcastiche barzellette, si scaglia contro l’atteggiamento servile del Duce verso l’alleato tedesco, contro la monarchia ridotta a un «puro ornamento», contro le leggi razziali. Denuncia le condizioni di vita dei milanesi, terrorizzati dai bombardamenti e ridotti alla fame. Poi non ce la fa più e per due mesi smette di scrivere tra la fine del ’43 e l’inizio del ’44: «Uno scoramento infinito mi faceva rifuggire dall’atto di annotare eventi che testimoniano l’inesorabile decadimento della mia gente. Non un filo di luce in tanta tenebra non una lontana speranza di rinascita dopo lo sfacelo completo, assoluto». Poi il diario si interrompe, definitivamente, nel luglio del 1944. La verità è un peso troppo grande, anche per una Cassandra.