
Quando la Giostra andò in trasferta a Roma. E la città si spacca sull’edizione per Togliatti
Luca
Berti
La prima edizione post-bellica della Giostra del Saracino si svolse il 12 settembre 1948 dopo un’interruzione di ben otto lunghi anni; l’ultima edizione pre-bellica risaliva al 9 giugno 1940, vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia fascista a fianco della Germania di Hitler.
Fu una giornata di festa, quella del 12 settembre, perché nello stesso giorno si chiudeva la seconda edizione delle Fiere Aretine e veniva riaperta la Casa del Petrarca, ricostruita dopo i gravissimi danni provocati dai bombardamenti aerei del 1943-44. I tre eventi concomitanti avevano un forte valore simbolico: volevano segnare il ritorno alla normalità di una città devastata, e non solo materialmente, dalla furia della guerra. A rendere possibile la ripresa della tradizione giostresca era stato il nuovo sindaco della città, il socialista Santi Galimberti, un impiegato aretino di 56 anni, succeduto nel mese di febbraio a Enrico Grazi candidatosi alle elezioni per la Camera dei Deputati.
Ma determinante era stata soprattutto la Camera di Commercio, presso la quale era stato costituito nell’estate un "comitato centrale della Giostra", presieduto dallo stesso sindaco. La difficoltà che per anni aveva impedito il ritorno in Piazza di giostratori e figuranti era stato il preventivo di spesa di 15-16 milioni di lire formulato a tal fine dall’Enal, l’ente pubblico varato nell’immediato dopoguerra per subentrare alla fascistissima Opera nazionale dopolavoro.
In poco tempo il "comitato centrale", sotto la guida operativa del dottor Nagel, aveva rimesso insieme i vecchi costumi e le altre attrezzature, ricostruito ciò che mancava e noleggiato ciò che non poteva essere rifatto in poco tempo. A rischiare di vanificare tutto il lavoro allora svolto fu la richiesta avanzata dal quotidiano l’Unità, organo ufficiale del Partito comunista italiano, di svolgere a Roma domenica 26 settembre un’edizione straordinaria della Giostra.
L’occasione era il ritorno in pubblico del segretario, Palmito Togliatti, dopo il grave attentato subito il 14 luglio per mano del liberal- qualunquista Antonio Pallante, che aveva gettato il Paese sull’orlo di un’insurrezione armata e di una nuova guerra civile. La richiesta, che era appoggiata da una sontuosa offerta di denaro all’Enal, ai Quartieri e ai giostratori, provocò, anche per le sue implicazioni politiche, una netta spaccatura nel mondo della Giostra, nella stampa locale, che contava allora ben tre quotidiani, e nella città, con argomentazioni, di favorevoli e contrari, simili a quelle nuovamente sentite mezzo secolo dopo, quando la giunta Lucherini propose una trasferta della Giostra a Bruxelles. Nonostante la sua vocazione governativa e quindi filo-democristiana, l’Enal si pronunciò fin dal primo momento favorevole alla trasferta, forse perché nel suo consiglio direttivo sedevano importanti figure della sinistra aretina (Ivo Barbini, Mario Bellucci).
Dei Quartieri, due si dichiararono favorevoli: Porta Sant’Andrea e Porta Santo Spirito, che tuttavia si giustificò poi facendo sapere che con la giostra romana pensava di ripianare il debito di 100 mila lire maturato per organizzare (e vincere) quella del 12 settembre. Gli altri due, Porta del Foro e Porta Crucifera, decisamente contrari, facendo seguire, in segno di protesta, alle parole le dimissioni in blocco dei rispettivi consigli direttivi. Durissima fu anche la reazione del "comitato centrale", che intimò all’Enal l’immediata restituzione dei costumi non di sua proprietà, il ricorso alle vie legali, la dichiarazione che l’eventuale giostra romana nulla aveva a che vedere con la tradizione aretina, la minaccia di non farsi carico del disavanzo di un milione di lire maturato per giungere all’evento del 12 settembre, oltre alle dimissioni dei suoi componenti.
Sordo a queste eclatanti manifestazioni di dissenso, l’Enal inviò a Roma il Buratto, le attrezzature ed i costumi fin dal giovedì, seguiti da un non compatto drappello di quartieristi che partirono il sabato dalla Stazione con il treno delle ore 13,40, come annota con pignoleria La Nazione. Chi venne a trovarsi fra l’incudine e il martello fu il sindaco Galimberti, che guidava una maggioranza con una larga presenza di comunisti e nello stesso tempo presiedeva il "comitato centrale" artefice, e finanziatore, della rinascita della Giostra. Dopo aver invano cercato di portare l’organismo camerale a più miti consigli, il sindaco gioca un’ultima carta convocando una riunione in Comune il venerdì mattina per trovare una soluzione di compromesso (andare a Roma, ma senza correr giostra), ma né i rappresentanti de “L’Unità”, né quelli del Pci, né quelli dell’Enal, si presentarono all’appuntamento. Il 26 settembre i figuranti aretini, nel tripudio di bandiere rosse di un’oceanica Festa de “l’Unità”, sfilarono al Foro Italico, insieme a militanti, operai, contadini, partigiani, bande musicali, orchestrine, carri allegorici, gruppi folclorici, giunti da ogni parte d’Italia per testimoniare il radicamento popolare del Partito.
Ma, al momento di giostrare, alla vista di Togliatti, la folla invase il campo di gara, rendendo impossibile la sfida al Buratto, come si evince dagli ampi resoconti apparsi l’indomani nell’organo del Pci e come qualche anno fa mi confermò personalmente un insigne quartierista di Porta Santo Spirito, presente quel giorno a Roma.