
Luca Fiacchini con moglie e figlia
Arezzo, 7 marzo 2016 - «Cerca di avere fiducia nella vita». C’è scritto così su un biglietto dentro un barattolo della felicità, stretto tra le mani di Luca Fiacchini, uno di quei barattoli che i ragazzini realizzano riempiendolo di foglietti per mantenere vivi i bei ricordi e allontanare la tristezza e lo sconforto. E’ della sua piccola Letizia. «Fiducia nella vita» c’è scritto, un pensiero profondo, che il padre ha pescato a pochi giorni dalla sua terribile morte. «Parlo con lei attraverso questi bigliettini», ci racconta Luca Fiacchini, a distanza di poco più di un mese dalla tragedia che in un attimo gli ha strappato la figlia Letizia di 10 anni e la moglie, Barbara Marzanna Stepien, 51 anni di origine polacca, travolte da una minicar a San Leo.
Già la fiducia nella vita... «E’ il primo messaggio che ho letto dopo la sua morte. Che sciocco: prima quel barattolo che aveva decorato con grande cura non l’avevo mai preso in mano. Ora è una delle cose a cui mi aggrappo con più forza. Ogni giorno estraggo un messaggio ed è come parlare con lei. Ma di fiducia non ne ho più, almeno per il momento. Sono disperato. Mi appiglio a tutto quello che posso».
Ha molte persone che le stanno vicino... «Moltissime. Ogni giorno ricevo manifestazioni d’affetto. Ma mi sento solo. La mia vita si è spezzata per sempre in quella tragica domenica».
Qualcuno aveva pensato di intitolare una via a tua moglie? «Sì, me lo avevano proposto. Ho preferito declinare l’idea perché sarebbe troppo doloroso. Sono sicuro che passerei le giornate sotto quel cartello a lacerarmi».
Quali sono imomenti peggiori? «I fine settimana sono i momenti più difficili. E queste brutte giornate contribuiscono a rendermi ancora più triste. Chiuso in casa non faccio altro che pensare. A volte mi assale la paura. Che sarà di me? Ce la farò a superare tutto? Mi mancano in modo impensabile. Mi manca la mia piccola Letizia, tutti i miei progetti, i miei sogni erano rivolti a lei. La sensazione di non essere più un padre mi soffoca».
Come stai cercando di superare lo sconforto? «Mi sta aiutando una psicologa, ho iniziato un percorso da non molto, che spero mi possa aiutare. Voglio vivere la mia vita».
Per il resto? «Dopo due settimane dalla tragedia ho ricominciato a lavorare. Ne ho bisogno sia per vivere che per occupare le ore, che in quella casa sono così maledettamente silenziose, cariche di ricordi. Volevo anche imparare il polacco, proprio nella «scuola» in cui insegnava volontariamente mia moglie. Lo volevo fare per riuscire a parlare con i miei suoceri, e forse per mantenere un “contatto“ con lei. Ma adesso non è ancora il momento. Il percorso che devo fare è un altro. Quello di cercare di affrontare questo incubo. Che so che mi accompagnerà per tutta la vita».
E del romeno che ha travolto la tua famiglia? «Non so quale sarà il suo destino. Ma a distanza di un mese da quanto accaduto continuo a ripetere che non mi importa di lui. Nessuno me le restituirà, erano la mia ragione di vita. Spero comunque che giustizia sia fatta, ho chiesto al mio avvocato se valeva per lui l’omicidio stradale, ma mi ha detto che la legge non è retroattiva».
Ci tenevi a ricordare persone che ti sono state vicine... «Ringrazio chi ha partecipato al mio dolore, tutti i cittadini, amici e persone che non conosco. Una persona speciale è il dottor Domenico Giani per l’appuntamento che mi ha fissato con il Papa. E’ stata una giornata indimenticabile, mi hanno permesso di pregare davanti alle spoglie di Papa Wojtyla a cui mia moglie era tanto devota. Un grazie di cuore anche a don Christof».
di Gaia Papi