Monnalisa, incubo Coronavirus cinese: un quarto dei dipendenti è fermo

Sono quelli che lavorano nei negozi del celebre marchio nell’Impero Celeste: non lavorano più, clienti stretti dal cordone sanitario. Ma Iacomoni resiste: «Non chiudo»

Jacomoni e Bertocci

Jacomoni e Bertocci

Arezzo, 29 gennaio 2020 - La sua storia imprenditoriale è iniziata con un viaggio in Lambretta fino a Parigi, subito dopo l’esame di maturità. Dopo la visita al Louvre Piero Iacomoni decise che la sua azienda si sarebbe chiamata Monnalisa, come omaggio al genio italiano anche nella moda per bambini. Oggi, a più di mezzo secolo da quella rocambolesca trasferta oltralpe, arriva dall’altra parte del mondo una minaccia microscopica ma contagiosa che sta mettendo a dura prova uno dei mercati, quello cinese, tra i più importanti per il celebre brand aretino.

Monnalisa è infatti presente in sessanta Paesi del mondo: solo nell’ex Celeste Impero ha undici punti vendita, più tre a Hong Kong. Tanto per farsi un’idea, l’azienda ha in Cina 87 dipendenti su 350, un quarto della forza lavoro totale. Ma i negozi sono deserti da almeno una settimana: nessuno esce più di casa, nessuno si azzarda a frequentare luoghi pubblici.

La paura del contagio da virus cinese fa novanta e le prescrizioni delle autorità sono severe: «Guardiamo con la dovuta attenzione alla situazione sanitaria in Cina, dove siamo presenti con boutique dirette nei più importanti shopping mall – spiega il presidente di Monnalisa Piero Iacomoni che guida l’azienda insieme alla moglie Barbara Bertocci – non abbiamo punti vendita a Wuhan ma l’allarme è piuttosto diffuso e si è esteso anche a Hong Kong».

Di certo Iacomoni non è uomo che si arrende di fronte alle difficoltà, ma Monnalisa è stata costretta a seguire l’esempio di altri brand internazionali del lusso: «Alcuni hanno previsto una chiusura temporanea dei loro negozi fino al 2 febbraio o ne hanno ridotto l’orario. Anche noi ci siamo divuti adeguare».

La possibile evoluzione del Coronavirus è ancora tutta da chiarire. Ieri, per esempio, l’Organizzazione mondiale della sanità si è corretta. La minaccia che l’epidemia dalla Cina si estenda al resto mondo non è «moderata», come scritto in cinque rapporti consecutivi, bensì «elevata». Un «errore di formulazione», così lo ha definito e modificato nella sesta e più recente relazione sul contagio.  Una cosa è certa: in Cina il pericolo è «molto elevato».

Ieri i morti sono arrivati a 106, con oltre 4000 contagiati. L’epidemia di Sars del 2003 aveva provocato in tutto 774 vittime. «Il nostro principale obiettivo in questo momento è tutelare il nostro staff che risiede in loco – continua Iacomoni – abbiamo, come misura preventiva personale, fornito prontamente mascherine protettive, perché sono esaurite in tutto il Paese.

Le vendite dei negozi fisici si sono in parte convertite in vendite da Wechat, con consegna a domicilio dove possibile. Guardiamo l’evolversi della situazione: le autorità hanno preso tutte le misure utili, per limitare la diffusione del virus, chiudendo uffici pubblici e i collegamenti tra città».