CLAUDIO
Cronaca

Michelangelo e Topolino. L’assistente che voleva sostituirsi al maestro ma fece Mercurio storpio

Nel racconto di Vasari l’uomo di fiducia per scegliere il marmo di Buonarroti tentò di imitare il grande artista fra risate e contumelie: "Ma tu sei pazzo" .

Michelangelo e Topolino. L’assistente che voleva sostituirsi al maestro ma fece Mercurio storpio

Santori

I grandi artisti hanno sempre avuto bisogno di almeno un assistente del quale servirsi per ogni tipo di necessità logistica e organizzativa. Non faceva eccezione Michelangelo che poteva contare su un uomo di fiducia, Domenico di Giovanni di Bertino, di qualche anno più anziano, per approvvigionarsi del marmo per il suo lavoro di scultore: quando poteva, andava alle cave di Seravezza e di Carrara e si arrampicava, con tutti i rischi immaginabili, su per gli impervi costoni onde individuare il materiale più adatto alla bisogna. Ma il più delle volte non poteva allontanarsi da Firenze, dove lavorava, e subentrava allora l’assistente che era soprannominato Topolino sia per la piccola statura, sia per la capacità di muoversi con abilità e sicurezza nelle gallerie scavate nella roccia e di destreggiarsi tra i blocchi appena tagliati. Ma Topolino era qualcosa di più che un abile intenditore della qualità del marmo: aveva infatti anche il compito di dare al blocco che mandava a Firenze una prima sbozzatura a seconda della figura alla quale era destinato, in ciò istruito dallo stesso Michelangelo.

Ignorante ma furbastro e fornito di qualche elementare abilità di scalpellino, confidando in questo rapporto privilegiato col maestro, si era fatalmente montato la testa finendo col credersi a sua volta scultore e non si limitava a sbozzare i blocchi di marmo, ma aggiungeva sempre al materiale sbozzato qualche piccola scultura che sottoponeva al giudizio del Buonarroti ottenendo soltanto il risultato di farlo morire dalle risate. Come quella volta che scolpì un Mercurio dal quale si aspettava un elogio! Racconta invece il Vasari nella Vita di Michelangelo (traduco in italiano corrente): "Michelangelo amò Topolino scalpellino, il quale aveva la pretesa d’essere valente scultore, ma era debolissimo. Costui stette nelle montagne di Carrara molti anni a mandar marmi a Michelangelo; e non mandava mai un carico senza aggiungere tre o quattro figurine scolpite di sua mano, per le quali Michelangelo moriva delle risate. Una volta, tornato a Firenze, avendo sbozzato un Mercurio, si mise a rifinirlo e quando giudicò l’opera quasi finita la mostrò a Michelangelo chiedendogli un parere. ‘Tu sei un pazzo, Topolino’ gli disse Michelangelo, ‘a volere far figure. Non vedi che a questo Mercurio dalle ginocchia ai piedi ci manca più di un terzo di braccio, ed è nano e tu l’hai storpiato?’. ‘Oh, questo non è niente’ rispose Topolino ‘s’ella non ha altro da osservare, io rimedierò; lasciate fare a me’. Rise di nuovo della semplicità sua Michelangelo, ma Topolino tagliò il Mercurio sotto le ginocchia e gli fece un paio di stivaletti per allungarlo quanto bisognava. Fatto venire poi Michelagnolo gli mostrò l’opera sua, ma il Maestro di nuovo rise e si meravigliò che tali goffi, stretti dalla necessità, piglian di quelle risoluzioni che non fanno i valenti uomini".

Non si faceva sfuggire il Vasari le stravaganze degli artisti e le trasformava in deliziosi camei narrativi. Sembra infatti avere un fondo di verità la novella del bertuccione che il Rosso Fiorentino si portava sempre dietro come insolito animale di compagnia, il quale naturalmente, seguendo la sua natura, faceva ogni sorta di danni! "Stava il Rosso -scrive dunque il Vasari- nel Borgo de’ Tintori, che risponde con le sue stanze negli orti dei frati di S. Croce, e si compiaceva d’un bertuccione, il quale aveva spirito più d’uomo che d’animale; per la qual cosa se lo teneva carissimo e l’amava come se medesimo, e siccome era intelligentissimo, gli faceva fare di molti servigi. Ora, nell’orto dei frati, sottostante le stanze sue, c’era una pergola del guardiano piena di uve grossissime e così alcuni giovani garzoni mandavano giù l’animale con una fune e lo ritiravano su con le mani piene d’uve. Il guardiano, trovando la pergola saccheggiata e non sapendo da chi, pensando ai topi, si mise in agguato e visto il bertuccione del Rosso che giù scendeva, tutto s’accese d’ira e, presa una pertica per bastonarlo, gli si avventò.

Il bertuccione, visto che se saliva ne toccherebbe, e se stava fermo lo stesso, cominciò a rovinargli la pergola salticchiando sopra, tanto che fece uscire delle buche le pertiche e le canne che la reggevano, onde la pergola e il bertuccione caddero addosso al frate, il quale, rizzatosi malconcio, se ne uscì in imprecazioni blasfeme [meravigliosa l’espressione originale: disse cose fuor della messa!] e querelò il Rosso all’Ufficio degli Otto, magistratura in Firenze molto temuta. Il bertuccione fu condannato a ‘dovere un contrappeso tener al culo’ , acciocché non potesse saltare come prima faceva su per le pergole. Il bertuccione parve capire che la cagione di questo suo incomodo era il frate per cui un giorno, tenendo con le mani il contrappeso, nell’ora in cui il guardiano era a cantare il vespro, saltò di tetto in tetto su quello della camera del frate ‘e quivi lasciato andare il contrappeso, vi fece per mezz’ora un sì amorevole ballo, che né tegolo né coppo vi restò che non rompesse’ .

Gli improperi del guardiano si udirono per tre giorni". Tenere un bertuccione domestico doveva essere cosa comune nel Trecento, tanto è vero che anche il Vescovo d’Arezzo Guido Tarlati ne aveva uno il quale, imitando quel che aveva visto fare al pittore Buffalmacco, gli rovinò un lavoro in vescovado. "Monsignore - disse ridendo il pittore al vescovo - voi volete che si dipinga in un modo, ma il vostro bertuccione vuole in un altro: non occorreva che voi chiamaste un pittore se avevate il maestro in casa!".