
Un Cup (foto d'archivio Crocchioni)
Arezzo, 20 maggio 2020 - La mattina ci mettevamo in coda al Cup. Il centro unico di prenotazioni, non c’è aretino nell’età della ragione che non abbia passato lì diversi quarti d’ora della propria vita. Con calma, sfoggiando il biglietto 90 quando nel numeratore c’era il 45 e marcando stretti a distanza i pazienti davanti. C’era una volta. Perché è una stagione che corre verso il tramonto.
Intanto il Cup è chiuso e lo è da quando l’emergenza ha trasformato l’ospedale e le sue costole in un bunker contro il Covid. Ma al Covid non sopravvivrà. La conferma arriva dal direttore generale della Asl Antonio D’Urso, con la franchezza solita. «Il Cup con le persone in attesa? Non tornerà mai più». Forse al massimo un piccolo presidio, magari in una fase intermedia.
Ma il futuro parlerà altre lingue. Punto e a capo. Di qualche giorno fa è la delibera firmata dallo stesso D’Urso che fissava le linee della trasformazione della sanità aretina dopo l’epidemia. E la parola d’ordine era una: evitare concentrazioni dentro l’ospedale, favorire il maggior spostamento possibile verso il territorio. A cominciare da quelle che da sempre sono considerate attività territoriali.
E nella delibera tra gli esempi scritti a lettere forti c’è proprio il vecchio Cup. Inserito tra le prestazioni di non stretta pertinenza ospedaliera. In buona compagnia. Perché nella lista ci sono sono anche dermatologia, oculistica, il centro prelievi, i consultori, l’ospedale di comunità, l’hospice, l’odontoiatria, la formazione, la fase di preospedalizzazione. E per l’appunto il centro unico di di prenotazione.
Un primo passaggio potrebbe essere portarlo fuori dal perimetro della zona ospedaliera. Anzi, questa è la linea che emerge proprio dalla delibera che ha avviato la sanità del dopo Covid. Ma la tendenza è quella a ridurre sempre più al minimo la prenotazione frontale.
«Nei prossimi mesi verrà al pettine il bando per il Cup 2.0». E’ una soluzione che è già impiantata nelle altre due anime della Asl: Siena e Grosseto. Oltre che in tante altre città e province della Toscana. E rientra in un progetto regionale che porterà alla creazione di un’unica piattaforma CUP in tutta la Toscana. Un progetto articolato. Prevede anche l’integrazione con altri servizi già funzionanti.
Tra le soluzioni? Sarà possibile ad esempio, con ricetta dematerializzata del proprio medico, prenotare alcune prestazioni (da tutte le visite specialistiche agli esami RX) direttamente dal computer di casa, collegandosi al sito: prenota.sanita.toscana.it. Ti chiedono il codice fiscale, il numero di ricetta elettronica e vai, ti muovi in autonomia. E sempre da casa si possono pagare i ticket, tramite la piattaforma regionale IRIS.
Per effettuare i pagamenti è necessario collegare al PC un piccolo lettore di carte magnetiche in cui inserire la propria tessera sanitaria. Questo è l’obiettivo finale. In mezzo ci sarà il mantenimento delle altre forme di prenotazione, con sportelli fuori dall’ospedale, e un accentuato uso dei totem per il pagamento del ticket. Intanto l’operazione di rafforzamento del territorio si allarga agli infermieri.
Entro ottobre sarà operativa la figura dell’infermiere familiare o di comunità. Un professionista che promuove l’assistenza preventiva, curativa e riabilitativa differenziata per bisogno e fascia d’età. A casa, in ambulatorio, interagendo con gli altri professionisti. Sorta di infermiere di quartiere. O se preferite porta a porta, nell’«ospedale» diffuso più grande del mondo.