
Ateius, l’uomo che trasformava la terra in oro Le radici dei vasi aretini: storia e vita quotidiana
Lucia
Bigozzi
Ateius aveva capito tutto. Intuiva che quella terra sigillata avrebbe potuto trasformarsi in una miniera d’oro. E la sua officina lavorava a getto continuo. Da lì uscivano vasi e oggetti per la mensa in ceramica fine, unici per il colore rosso brillante nella versione liscia o con decori a rilievo. Una produzione popolare, cioè alla portata di tutti e alternativa all’oggettistica in metallo, molto più costosa e appannaggio di pochi. Un nuovo concetto di convivio che nell’Arezzo romana Ateius coglie e trasforma sul piano commerciale in opportunità di sviluppo. Un’innovazione tecnica destinata a cambiare le abitudini delle famiglie, si direbbe oggi.
Ateius era un vasaio ambizioso: intuisce il valore della ceramica sigillata, implementa la produzione nella sua officina e fa la spola con Pisa dove allestisce una piattaforma ante-litteram per la spedizione degli Arretina Vasa nella Gallia meridionale . In poco tempo i vasi aretini conquistano i mercati e cambiano il profilo economico della città. Siamo al tempo di Mecenate e la ceramica da mensa in terra sigillata si trasforma nell’oggetto del desiderio di ogni famiglia. Un successo e una diffusione commerciali straordinari: gli Arretina Vasa raggiungono tutte le province dell’impero e molte regioni oltreconfine, spingendosi perfino in India. Il fenomeno cresce e si moltiplicano officine - come quella di Perennius a Santa Maria in gradi e a Cincelli - e lavoranti, si aprono succursali nei principali porti lungo la rotta dei mercati della Gallia e nelle terre di confine che i romani controllano con le armi. Ma a crescere è anche la fama di Arezzo: qui laboratori e fabbriche riforniscono mense domestiche ma pure gli eserciti impegnati sui campi di battaglia da un capo all’altro dell’impero, per difendere i territori e respingere gli assalti. E così, coppe, scodelle e piatti in ceramica sigillata arrivano negli accampamenti fortificati e accompagnano la vita dei soldati. Nell’anno 50 a.C. la diffusione degli Arretina vasa è talmente estesa da permeare la quotidianità domestica, al punto che i vasi vengono deposti nelle tombe dei romani come parte del corredo funebre e in alcuni casi, utilizzati come contenitori per le ceneri dei defunti.
Nella prima fase di espansione la produzione prevalente è focalizzata su vasi lisci, ma dal 30 a.C si sviluppa quella di coppe decorate a rilievo con la tecnica della matrice. Sono raffigurate immagini di vario genere che seguono un ampio repertorio iconografico ispirato a storie, personaggi, divinità, episodi della mitologia e tra questi il più ricorrente è la guerra di Troia ma non mancano richiami all’Ars amatoria di Ovidio o a scene di vita agreste e caccia - su tutti le rappresentazioni della vendemmia - , oltre alla musica e alla danza. Tra gli eroi più "gettonati" è ricorrente il profilo di Ercole con la sua tipica leontè che è pure il soggetto di uno tra i pezzi più preziosi: un punzone della fabbrica di Rasinius.
C’è un altro effetto nell’Arezzo che gira il mondo sulle ali delle creazioni artigianali in ceramica sigillata: la crescita economica legata alla produzione di vasi e oggettistica da mensa, determina un aumento della popolazione aretina e a un forte sviluppo urbano. In sostanza, gli Arretina vasa sono la chiave non solo del benessere di chi produce o vende, ma si fanno strumento della trasformazione della città. A partire dall’impero di Augusto, ad Arezzo si espandono dimore lussuose e si struttura una classe imprenditoriale che gradualmente si sovrappone ai ceti aristocratici che fondano la loro opulenza in possedimenti terrieri. Potenza dei vasi "corallini", definizione mutuata dal colore rosso brillante delle ceramiche.
L’epopea dei vasi aretini attraversa il Medioevo e la prima citazione riscontrata nei documenti antichi rimanda a Ristoro di Arezzo (tredicesimo secolo), anche se la valorizzazione più evidente avviene nel Rinascimento con i grandi aretini del tempo: da Giorgio Vasari a Pietro Aretino. Nei secoli successivi, i vasi corallini diventano pezzi da collezione per gli appassionati più facoltosi e a partire dal 1823 vengono raccolti nel Museo della Fraternita dei Laici da cui nel 1936 nasce il Museo Archeologico Mecenate.
Oggi il nuovo allestimento delle sale della galleria consente di ripercorrere la storia della produzione, scoprirne il fascino, cogliere le mille sfumature che oltrepassano la dimensione temporale a raccontano, in presa diretta, un’epopea che ha reso grande Arezzo e ne ha cambiato l’essenza. Centinaia di reperti narrano l’impresa della città dei vasai, dalle origini agli usi e alla straordinaria diffusione della ceramica.
Una grande storia di successo. Che Ateius aveva intuito il giorno in cui decise di investire tutte le sue fortune e l’ingegno imprenditoriale nella terra sigillata che dà manufatti leggeri ed eleganti, economicamente competitivi e per questo "popolari". Gli scavi nell’officina di Ateius hanno restituito oltre settecento cassette, circa milleottocento esemplari. Non solo: nel corso del tempo ad Arezzo sono stati recuperati i marchi di centoventi produttori: numeri che danno le dimensioni del fenomeno. La città dei vasai rivive attraverso ciò che il tempo consegna all’attualità: la custodia della memoria che delinea un profilo identitario. E Ateius è il protagonista di un emozionante viaggio nel tempo.