Apocalisse in A1, ubriachi di stanchezza verso la morte: erano in viaggio da quasi 30 ore

L’ultimo caffè. «Morivo di sonno». Il racconto del padre al volante che ha visto uccisi genitori e due figli. In caserma non ha mai chiesto dei bimbi, solo della moglie

Il tragico incidente di Badia al Pino

Il tragico incidente di Badia al Pino

Arezzo, 7 giugno 2020 - E’ stato un viaggio allucinante quello finito nell’apocalisse di Badia al Pino, Autosole, corsia sud. Quasi trenta ore, tutte di fila, incontro alla morte. Otto persone stipate dentro una Volkswagen Touran che al massimo poteva portarne sette, genitori, nonni, zio e bambini ubriachi di stanchezza e più di tutti il guidatore, il giovane sinti (un etnia zingara con forte presenza in Romania), che ormai procedeva a zig zag, da un lato all’altro della carreggiata.

Finchè quell’andamento sussultorio non è andato a schiantarsi contro lo spigolo di un Tir fermo in corsia d’emergenza, che ha sventrato la vettura come una scatoletta. Del lato destro, quello del camion che portava la scritta ora assurda «Andrà tutto bene», non si è salvato nessuno: morti i nonni, 52 anni lui, 50 lei, morti i nipotini, 10 anni il maschio, appena 2 la sorellina.

A giudicare dal racconto che con la polizia stradale ha fatto il Emil Ciurar, trent’anni, arrestato e rinchiuso in cella in attesa dell’udienza di convalida di domani, forse non poteva che finire così. E’ stato lui stesso a confidare ai poliziotti che non ce la faceva più.

Ultima fermata, prima della tragedia, all’area di servizio Chianti, poco oltre Firenze sud: un caffè per svegliarsi, ma (spiega lui) «non ce la facevo più a tenere gli occhi aperti, la testa mi ciondolava dal bisogno di dormire».

C’è bisogno di altro per capire cosa abbia causato il peggiore incidente della recente storia stradale aretina, il più grave di sempre in Autosole, pareggiato solo dalla strage dei disabili del 29 febbraio alla Fratta e da un lontano fuori strada (più di vent’anni fa) che in E45 uccise due coppie? Ha ragione il padre che si è trasformato in carnefice involontario di genitori e figli a dire che non ce la faceva più.

Erano partiti tutti da una località imprecisata della Romania alle nove del mattino di giovedì. Due monovolume quasi gemelle che per migliaia di chilometri hanno proceduto in parallelo, una davanti e una dietro, parenti ma soprattutto appartenenti allo stesso clan di nomadi. Migliaia di chilometri attraverso quattro frontiere: Ungheria/Croazia/Slovenia/Italia.

L’ultima varcata alle sette del mattino di mercoledì, dopo 22 ore di viaggio. Tutti insieme come in una barca: genitori, nonni, figli più lo zio dei bambini, solo tredicenne. Di questa compagnia di disperati non resta niente: i morti sono morti, la mamma dei bimbi ricoverati a Siena, la gemellina della neononata uccisa al Meyer, coi medici che tenevano aggiornata la Polstrada: ora nessuno è più in pericolo, nè la mamma nè la figlioletta.

Unico indifferente, sarà lo choc, sarà il carattere, sarà l’indole dell’etnia cui appartiene, il padre guidatore. In silenzio per ore davanti alla polizia, una sigaretta dietro l’altra. Non ha chiesto niente dei figli, solo a mezzanotte, ad arresto verbalizzato, si è ricordato della moglie: come sta? Sta male, ma starà anche peggio quando saprà tutto.