REDAZIONE AREZZO

Addio a suor Rosalba, la guerriera dei poveri

L’anima del Thevenin piegata dal virus. Bassetti: "Era un gigante della carità". Dalla bimba trovata su un cofano all’istituto per le mamme

Aveva perso il babbo a cinque anni ed era come se questa tragedia la avesse fatta crescere prima del tempo: minuta come un fuscello ma capace di trascinarsi in giro per Arezzo due borsoni pieni, "per essere pronta ad aiutare subito i più poveri". Ma per farlo, come sottolinea Gualtiero Bassetti, doveva verificare fossero davvero in difficoltà. Piccola ma indistruttibile, suor Rosalba si è piegata solo al Covid: che pure aveva superato, con la fibra di sempre, ma alle cui complicazioni non ha retto. Viveva a Roma, nella casa di riposo delle Figlie della Carità, la sua congregazione.

Chi la conosce assicura non ci stesse troppo volentieri, un po’ perché innamorata della sua libertà e un po’ perché troppo lontana da Arezzo. E dalla sua Terrossola, la frazione di Bibbiena dove era nata. "La maggior parte di me stessa – raccontava – è legata a quella terra".

La mamma rimasta vedova a 29 anni (babbo Sacchi era un vero personaggio in Casentino), le due sorelle. La laurea in lingue orientali. La vocazione. La scintilla, diceva, era scattata per una confessione: dopo una coda infinita, di quelle che il lato insofferente del suo carattere odiava. "Da lì sono cambiata".

La voce dei poveri: anzi, no, la "guerriera", perché la voce l’aveva flebile e il sorriso sempre come affogato in una smorfia che non la raccontava. "Un giorno trovai una bambina abbandonata sul cofano di una macchina: mi chiamò mamma fino a quando non fu adottata".

Il segno di una scelta che le avrebbe cambiato la vita. Il Thevenin, le ragazze madri, le donne dalla maternità tutta in salita. Una struttura nata nell’800 e cresciuta con lei: con posti per sei mamme con i rispettivi bambini, più nove posti per i minori e altri di diurno. Un mondo dietro quel portone a metà tra il seminario e San Domenico.

Parola d’ordine l’accoglienza a tutte, senza chiedere, senza giudicare. Sarebbe stato padre Carraro, vescovo per pochi mesi, a volerla alla guida della Caritas,. Il suo spirito francescano si era innamorato del taglio asciutto di questa suora minuta. Poco accomodante, spesso critica e perfino polemica ma disposta a battersi per i poveri, anzi per chi la convincesse di esserlo. Ha tirato su una generazione di operatori Caritas,che tuttora ne sono la forza, da Alessandro Buti ad Andrea Dalla Verde, prima di passare il testimone a don Giuliano Francioli, 13 anni dopo l’inizio di quell’incarico. Una staffetta decisa nel 2010 dall’attuale Vescovo Fontana e che lei ha sempre vissuto come uno strappo. "Avrei preferito rimanere al mio posto – diceva – ma l’ubbidienza prima di tutto". Forte di un lavoro che combaciava perfettamente con la sua vocazione. Che passava dai borsoni pieni di cibo ma anche dall’impegno sociale: ad esempio si era schierata per il referendum sull’acqua pubblica.

"Sono una Figlia della Carità" ripeteva con orgoglio. E da Figlia della Carità oggi la città (commosso anche il ricordo del sindaco) le dirà addio. I funerali saranno celebrati alle 15.30 a S.Maria in Gradi, poche centinaia di metri sotto il Thevenin. Li presiederà il Vescovo. "Ha speso in mezzo ai poveri gran parte della sua vita" la ricorda Fontana. Poi l’ultimo viaggio, verso il suo Casentino. Senza i borsoni pieni di pane, senza lo sguardo lungo, femminile di chi cerca i poveri. Pronta, da guerriera, a difenderli: ma solo dopo aver verificato che lo fossero davvero.

Alberto Pierini