Strage di Viareggio, dieci anni dopo. Il ricordo, il dolore, le battaglie

Fu un'apocalisse. Il ricordo del nostro collega Giovanni Lorenzini, che quella maledetta sera era di turno

Viareggio, 29 giugno 2019 - "Sono il macchinista del treno a Viareggio, abbiamo deragliato. Qui è scoppiato tutto. Portavamo gas liquefatto infiammabile....C’è la stazione sta completamente in fiamme: avverti chi puoi, avverti la protezione civile. Sono scoppiati tutti i carri". Sono le 23.48 del 29 giugno. Dall’altro capo del telefono il capostazione domanda: «Ascoltami, ma quanti carri sono, sei riuscito a capì?». La risposta inquietante. «Sono 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14 carri, tutti contenenti gas liquefatto infiammabile». Le prime parole dopo il disastro, la richiesta d’aiuto affannata del macchinista del treno 50325. L’unico che forse sapeva lucidamente quello che sarebbe accaduto di lì a pochi secondi, e che sarebbe potuto accadere se invece che una fossero esplose a raffica tutte e 14 le cisterne.

Stasera Viareggio torna a quella notte, a quella richiesta spasmodica d’aiuto, a quell’incubo da cui la città difficilmente si risveglierà. Dieci anni dopo. Con la voce di quei macchinisti, con i fischi dei treni dei ferrovieri, con le sirene delle ambulenze nell’aria immobile, con il senso di morte, la voglia di rinascere, la necessità di cambiare quel sistema che non ha protetto via Ponchielli e chi la viveva.

Strage Viareggio (foto repertorio)
Strage Viareggio (foto repertorio)

GIOVANNI LORENZINI, collega prepensionato della nostra redazione, era di turno lunedì 29 giugno 2009, la sera del disastro ferroviario. Gli abbiamo chiesto un ricordo di quei primi momenti.

«QUELLA sera feci l’ultimo ‘giro’ telefonico alle 23,45 e risuonò il tranquillizzante ‘non c’è nulla’. Ci fu anche chi disse ‘ma telefonate ancora? cosa volete che succeda....’. Una volta giunto a casa, 23,52 cellulare e telefono fisso incominciarono a squillare: ‘Giovanni, c’è stata un’esplosione nella zona della stazione: si vedono le fiamme. Deve essere qualcosa di grosso’. Impossibile fare una verifica immediata con carabinieri, polizia e vigili del fuoco: linee occupate. Naturale, in quel momento, contattare la redazione centrale. Mi rispose, il collega di notte che coordinava le redazioni esterne, Michele Manzotti: ‘Michele, ferma l’edizione di Viareggio: vado a vedere cosa sia successo alla stazione, mi hanno segnalato esplosioni e un incendio. Appena so qualcosa ti richiamo’. Quella notte, non l’ho più richiamato: lo hanno fatto altri colleghi che - una volta che il tam tam dell’incidente ferroviario, dell’esplosione e delle prime vittime era arrivato un po’ ovunque - erano tornati al lavoro in redazione. Muoversi in quell’inferno di fiamme e di dolore non era facile, non solo perché le ambulanze e i mezzi delle forze dell’ordine e dei vigili del fuoco avevano invaso le strade ma anche perché ascoltavi - cercando di rimanere lucido prendendo appunti - i racconti di persone ancora sotto choc per la paura ma anche per avere visto ragazzi, uomini e donne trasformati in torce umane.

Una delle vittime, forse la prima sul piano temporale, era stata celata alla vista da due giovani carabinieri con una coperta scura: era accanto allo scooter, deformato dalle fiamme e dall’esplosione, all’incrocio fra via Burlamacchi e via Garibaldi. ‘Sapete dirmi se ci sono dei morti? chiesi al militare che presidiava la zona. ‘Uno è davanti a lei’. Non lo avevo visto. O meglio non avevo capito che si trattasse di una persona. Purtroppo, il peggio era dall’altra parte della ferrovia, via Ponchielli e dintorni, dove una volta raggiunta la zona preceduto da altri colleghi ad ogni persona conosciuta che incontravi ricevevi un’agghiacciante ‘ci sono diversi morti, non sappiamo quanti’. Una notte indimenticabile, continuata in redazione a scrivere i primi racconti a caldo e poi di corsa al pronto soccorso, a raccogliere altre testimonianze, a capire qual era il bilancio parziale di quella tragedia. Un girone dantesco gestito con grande professionalità dei medici e del personale infermieristico e sanitario. Elicotteri in volo, feriti in barella ‘foderati’ di alluminio, destinazione i centri ‘Grandi Ustionati’ di mezza Italia, un continuo andirivieni di ambulanze, tutti i medici richiamati al lavoro.

Una lunghissima notte insonne. Arrivò l’alba senza accorgersene. Era già tempo di tornare in redazione con gli occhi stanchi e commossi. Giornalisticamente eravamo finiti in prima linea. E ci saremmo rimasti per parecchi giorni, senza mai guardare l’orologio per staccare, semmai per non sforare con l’orario di chiusura, senza mai pensare ad altro se non a raccontare le storie delle vittime, il bollettino medico con le condizioni dei feriti e capire come venivano articolate le prime indagini».