De Masi: «Così il professor Seppilli e Perugia hanno cambiato la mia vita»

Il sociologo di fama mondiale si racconta: «Bei tempi quelli dell’Onaosi e della Stranieri...»

LEGATO ALL’UMBRIA  Il professor Domenico De Masi

LEGATO ALL’UMBRIA Il professor Domenico De Masi

Perugia 8 dicembre 2015- Domenico De Masi sociologo di fama mondiale ha un legame molto forte con l’Umbria. Ha frequentato infatti a Perugia l’Università, dove si è laureato in Giurisprudenza con una tesi in Storia del Diritto. Lo incontriamo per la presentazione del suo «Mappa Mundi», ospite dell’associazione La Pratica del Dubbio.

Cosa ricorda intanto del suo periodo da studente a Perugia?

«Beh è stato un periodo molto positivo. Sinceramente studiare a Perugia era un privilegio per diversi motivi: l’assistenza Onaosi impeccabile, la città che era a dimensione di universitari e poi la presenza della Stranieri. L’incontro con tanti ragazzi di altre nazioni era davvero stimolante. Tra l’altro poi io ogni estate sfruttavo queste amicizie andavo a trovare questi ragazzi in Germania, Inghilterra, Francia e Scozia. Alcuni li sento ancora».

Quanto e in che cosa è cambiata, se è cambiata, Perugia?

«Io vengo di solito per brevi soggiorni ma vedo la Perugia di sempre, con i suoi bellissimi monumenti, i suoi angoli suggestivi. Non noto grandi differenze. Per me resta la mia bellissima Perugia. Anche quando, in seguito al caso Konx se ne dava un’immagine terribile dicevo a tutti ‘per carità, non è così...’».

Quand’è che ha iniziato a coltivare l’interesse per la sociologia?

«In verità tutto è legato al professor Tullio Seppilli. Perugia all’epoca non aveva la facoltà di Sociologia né quella di Lettere. Così mi iscrissi a giurisprudenza. Un giorno sulla porta di una delle aule lessi un avviso scritto a penna che invitava a una lezione di antropologia culturale. Entrati e seguii la lezione dell’allora giovane professor Tullio Sepppilli, divenuto poi un celebre antropologo. Lui non lo sa ma quella lezione mi ha cambiato la vitai. Dopo la laurea infatti mi trasferii a Parigi dove mi specializzai in Sociologia del Lavoro. Altro personaggio che ricordo con grande affetto era il nostro direttore all’Onaosi Antonio Castrucci».

Da Perugia a Parigi, un bel salto!

«Lo sa? Non più di tanto. Il fatto di essere abituato a frequentare gente di nazionalità diverse, perchè in verità il rapporto con i perugini era praticamente assente e non nascondo che la cosa mi dispiaceva, mi aiutò ad ambientarmi subito nella capitale multietnica quale era già allora Parigi».

Parliamo un attimo delle stragi terroristiche a Parigi. Siamo anche noi nel mirino come i francesi?

«Noi siamo molto diversi dai francesi, che si sentono legatissimi alla loro Patria e a una storia che li ha portati a dominare l’Europa e buona parte del mondo con le loro colonie. Noi non ci sentiamo superiori, per questo riusciamo ad essere più aperti. Un esempio? Il nostro modello di integrazione è senza dubbio più efficace di quello delle Banlieu che ha mostrato tutti i suoi limiti».

Lei ha anche un rapporto privilegiato con il Brasile di cui è cittadino onorario. Perchè ha seclto proprio quel Paese?

«In realtà è il Brasile che ha scelto me. Hanno tradotto i miei libri e mi hanno invitato ad avere con loro un rapporto di lavoro molto interessante. E poi è uno dei paesi più portati all’allegria, alla solidarietà, alla sensualità e all’accoglienza. Insomma, formidabile».

Uno dei suoi libri si intitola «Non c’è progresso senza felicità» (Rizzoli, 2005). Sono passati dieci anni da allora, come è cambiata la situazione?

«Purtroppo direi che è peggiorata ovunque. Quello che è realmente in crisi è l’assenza di un modello sostenibile di progresso».

Che è poi il tema del suo «Mappa Mundi. Modelli di vita per una società senza orientamento» (2014), in cui le parla di crisi adombrando il fatto che forse non è la realtà a essere in crisi, ma il nostro modo di interpretarla. Come se ne esce?

«Se ne esce creandolo un modello. Ed è un compito che spetta agli intellettuali. Germogli in questo senso ci sono in tutto il mondo. C’è una fioritura di iniziative straordinarie. Siccome le categorie mentali che abbiamo ereditato dall’epoca industriale non sono più capaci di spiegarci il presente, siamo indotti a diffidare del futuro, oscillando tra disorientamento e paura».

Dovstoevskji diceva che la bellezza salverà il mondo. E’ così?

«La bellezza è importantissima – conclude –, ma da sola non basta. Per salvare il mondo bisogna fare una rivoluzione... intellettuale».

Donatella Miliani