Da detenuto a chef delle cene galeotte: «Torno in carcere da uomo libero»

La rinvicita di Rosace: «Dietro le sbarre ho imparato un lavoro»

Pierino Rosace il 15 dicembre sarà lo chef della «Cena Galeotta» all’interno del Maschio di Volterra

Pierino Rosace il 15 dicembre sarà lo chef della «Cena Galeotta» all’interno del Maschio di Volterra

Volterra, 23 novembre 2017 - La galera, quando ti resta appiccicata addosso come un’etichetta, spesso vuol dire anche reggere l’urto del passato, senza defilarsi. «Non nascondo quello che ho fatto – dice lo chef Pierino Rosace, anni passati dietro le sbarre del Maschio edora re dei fornelli nel ristorante, ricavato in una vecchia dimora, che ha aperto con i due figli nella sua Gioia Tauro – adesso torno a Volterra da uomo libero. Cosa provo? Lo saprò solamente quando varcherò quella porta. E chi si aspettava di fare il percorso inverso, di tornare in carcere come chef protagonista di una Cena Galeotta. Mai l’avrei immaginato quando mi trovavo là dentro…» La porta può rappresentare l’inizio e la fine di un lungo viaggio: è una quadratura perfetta dove un uomo entra da quel portone come colpevole, ne sguscia a testa alta dopo aver scontato la sua condanna e qui ritorna. Lui, che adesso ha 49 anni, ha deciso di riprendere in mano le chiavi di quella porta, usando ogni grammo di energia per creare un ponte fra il passato ed il presente. Senza vergognarsi dell’onta della reclusione. L’ex detenuto terrà a battesimo il 15 dicembre la prima serie delle Cene Galeotte come chef d’onore ospite del Maschio. Pierino non ha avuto il privilegio di una vita semplice. Certo, i guai se li è andati anche a cercare. E tanti, troppi, fanatici delle etichette avevano già bollato il suo destino come un caso perso. Eppure, fin dalla prima sosta «nel girone dei condannati», la sua vita ha preso subito una piega diversa.

Pierino, ora è diventato uno chef rinomato: cosa ricorda dell’esperienza dentro il Maschio?

«Sono uscito nel 2010 e l’anno successivo ho aperto il mio locale, il ‘Vico Scuro’. Confesso che non pensavo certo di finire a sgobbare fra padelle e pentole. Quando dalla sezione alta sicurezza fui trasferito alla sezione comune, mi chiesero che volessi fare. Scelsi la cucina, del resto in carcere il tempo è dilatato e bisogna pur passarlo. Vede, la cucina di un carcere è un ambiente delicato. Passare da una discussione banale a finire per mettersi nei guai, in un luogo dove ci sono così tanti coltelli, è un attimo. Per fortuna non è mai accaduto».

Prima si è occupato del rancio per gli altri detenuti, poi è finito a sfamare oltre cento bocche per le Cene Galeotte. Qual è il ricordo più bello di quell’incredibile avventura?

«La sensazione che ci davano le persone, gli chef che venivano a cucinare, i commensali. Quegli occhi che ci guardavano come fossimo tutti allo stesso pari. E se non fosse stato per quel progetto, non avrei neppure trovato un lavoro».

Lei infatti ha lavorato anche in un ristorante cittadino…

«Sì. Pensi che ho ottenuto la libertà nell’agosto del 2010. Ma in quel momento decisi lo stesso di restare a Volterra fino ad ottobre per portare a termine la stagione turistica. Non volevo lasciare sul più bello il mio datore di lavoro».

Con quale piatto sorprenderà gli ospiti della prima Cena Galeotta?

«La mia è una cucina semplice, improntata sulla qualità delle materie prime. In carcere delizierò i palati con un menù di carne. E poi, per dirla tutta, non vengo per stupire con effetti speciali. Torno in carcere, accompagnato dai miei due figli, per mandare un messaggio a tutti, soprattutto a coloro che non credono nei progetti di recupero dei detenuti. Questi progetti funzionano, e io ne sono la prova vivente. Non finirò mai di ringraziare la direttrice Maria Grazia Giampiccolo e gli agenti per l’opportunità che mi è stata data».