Incendio Montale, parla il pompiere colto da malore dopo 20 ore di lavoro contro le fiamme

Parla il vigile del fuoco che ha avuto un malore dopo 20 ore di lavoro

Franco Nesi (foto Acerboni/Castellani)

Franco Nesi (foto Acerboni/Castellani)

Pistoia, 18 luglio 2017 - «Ho dato il massimo per salvare la mia montagna, il luogo dove sono nato e dove ho la mia casa». Franco Nesi, in servizio nei vigili del fuoco di Pistoia da 32 anni, ha avuto un malore, dopo venti ore ininterrotte di duro impegno, insieme ad altri trenta colleghi e a un esercito di volontari, contro il devastante incendio che ha colpito la collina di Montale, in provincia di Pistoia.

Siamo andati a trovarlo nella sua casa e parliamo con lui mentre si sente ancora, a poche decine di metri, il rumore degli elicotteri impegnati nello spegnimento dell’incendio, che dopo 28 ore non è ancora domato.

Franco come si sente ora?

«Bene, è stato un piccolo sbalzo di pressione. Il medico curante ha voluto darmi due giorni di malattia, ma non è nulla di particolare».

Come si è svolta la sua giornata di lavoro di ieri?

«Sono entrato in servizio alle otto la mattina per il normale turno di dodici ore. Poi è previsto che quando c’è un’emergenza si continui a lavorare anche oltre il turno ordinario. Quando è scoppiato l’incendio intorno alle 12,30 io, essendo vice-capoturno e dovendo sostituire il capoturno, ho coordinato le operazioni dalla centrale di Pistoia fino alle 20. Successivamente, dalle ore 20 in poi, sono andato a coordinare gli interventi sul posto a Montale, nell’Ucl, l’Unità di Comando Locale dislocata nei pressi della zona dell’incendio»

In cosa consisteva il suo lavoro?

«Dovevo coordinare tutti gli interventi, ricevere e vagliare tutte le segnalazioni che pervenivano e dare indicazioni a tutte le squadre, andando con uno dei nostri mezzi sui diversi luoghi in cui avveniva l’intervento. Il fatto di essere del posto e di conoscere perfettamente il territorio mi è stato molto utile e mi ha consentito di dare direttive e informazioni precise anche alle squadre che venivano da fuori. Per esempio conoscevo benissimo i punti precisi in cui si trovavano gli idranti». 

Che effetto le ha fatto dover agire a difesa della sua zona, dove lei vive?

«In trentadue anni di servizio ne ho viste tante di cose e anche brutte e quando si lavora sotto pressione ci si concentra unicamente sulle cose da fare ma indubbiamente il fatto che queste sono le mie montagne, che molto vicino ci fosse la mia stessa casa mi ha indotto a dare il massimo. Anche perché in questa zona non avevo mai visto prima un incendio di queste dimensioni».

Dov’era quando si è sentito male?

«Erano circa le quattro e mezzo ed ero appena tornato all’Ucl quando mi sono messo a sedere e ho avvertito un certo malessere. A quel punto sono stato letteralmente circondato dai volontari della Misericordia di Agliana che mi hanno soccorso, mi hanno misurato la pressione e hanno verificato questo piccolo sbalzo, che mi ha costretto ad interrompere il lavoro». 

Vuol dire che dopo venti ore le è dispiaciuto lasciare?

«Sì, sarei andato avanti volentieri, anche perché vedevo che potevo essere utile, ma a quel punto non era possibile e quindi ho dovuto fermarmi. Ma tanti colleghi hanno lavorato come me e soprattutto vorrei sottolineare l’apporto determinante dei volontari senza i quali non potremmo assolutamente operare»