Nativi digitali? Prudenza ma stop ai pregiudizi. «Internet è una risorsa»

Il professor Paolo Ferri, docente alla Bicocca, lo spiegherà al Festival della Mente a Sarzana

I bambini e internet

I bambini e internet

Sarzana, 2 settembre 2015 - Li chiamano Generazione 2.0 o anche nativi digitali ma dietro alle definizioni, per come vengono recepite dall’opinione pubblica, finiscono col nascondersi incomprensioni e pregiudizi. Che possiamo riassumere nella paura verso l’uso delle nuove tecnologie che prova chi nativo digitale non è. Un contributo di conoscenza lo offrirà il professor Paolo Ferri, docente alla Bicocca, nel suo intervento al Festival della Mente, di cui anticipiamo in questa intervista alcuni spunti.

Professor Ferri, che cosa significa “nativi digitali”?

«La definizione non è mia, l’ho introdotta in Italia traendola da un saggio di Marc Prensky del 2001. Sono nativi digitali quanti sono nati con una connessione internet in casa e strumenti per accedervi. Oggi in Italia il 92 per cento delle famiglie con figli ha computer e connessione. I ragazzi hanno questo imprinting completamente diverso dal nostro: nella cameretta da piccoli avevamo una libreria, una scrivania e un letto; oggi ci sono computer, cellulare e connessione internet. Il fatto che le librerie siano diventate vecchie e che l’accesso alle informazioni, da parte dei nativi digitali, avvenga attraverso internet, determina trasformazioni che non sono ancora chiare ma che lo stanno diventando».

Trasformazioni spesso descritte a tinte fosche: queste tecnologie sono un pericolo per i ragazzi?

«Noi siamo una generazione che ha visto irrompere internet come un tornado che più o meno ha cambiato le nostre vite; loro nascono con una mamma che ha in mano un cellulare se non un computer: la vivono come una cosa naturale, ambientale. Quindi tutto il dibattito su “ha senso / non ha senso” permettere l’accesso alle tecnologie ai bambini è stupido. Dopodiché è del tutto evidente che i genitori in particolare dovrebbero avere comportamenti più saggi: solo il 16 per cento dei genitori italiani mette il parental control sul computer e solo il 3 per cento lo mette sui dispositivi mobili a cui possono avere accesso i bambini che, invece, andrebbero accompagnati in questa nuova dimensione della realtà». Essere nativi digitali è un vantaggio o un rischio? «Ci sono studi che dicono come queste tecnologie impattano direttamente sul sistema cognitivo dei bambini, non necessariamente con effetti negativi. L’abilità di soluzione di problemi complessi e la capacità della gestione spaziale dell’informazione sono migliorate nei bambini che accedono a strumenti di questo tipo. Ovviamente poi perderanno da un’altra parte, come è sempre stato per tutte le tecnologie. Anche per il libro Platone diceva che avrebbe distrutto il sapere orale: non è mica vero, il sapere orale permane, ha cambiato funzione. Adesso la piattaforma è cambiata, per cui è internet e non il libro lo strumento principale di diffusione dell’informazione».

Dal libro al web. Un bene o un male?

«E’ chiaro che stare otto ore davanti al videogioco non va bene, come mangiare 8 chili di pane. Ma anche i videogiochi possono essere strumenti utili all’apprendimento. In altri paesi inizia ad essere abbastanza evidente cosa è opportuno e cosa no. Per esempio, è del tutto evidente che nel campo dell’apprendimento internet e correlati sono estremamente vantaggiosi ed è molto chiaro che l’interazione sociale sulla rete vada gestita con più prudenza». Giusto, il cyberbullismo... «Io non lo chiamo cyberbullismo. E’ una forma di bullismo che va guardata con attenzione perché mentre l’azione del bullo in presenza può essere anche molto violenta sul momento ma è molto ristretta (al bullo, al bullizzato e al gruppo degli osservatori), nell’altro caso il gruppo degli osservatori è grande quanto il mondo. Il problema sta lì, non nel fatto che si insultino un po’ online come ci si insulta da ragazzi in presenza. Essendosi aperta questa nuova dimensione della realtà, i bambini vanno accompagnati con accortezze che servono per qualunque nuova tecnologia. Purtroppo in Italia sia la famiglia che la scuola sono impreparati».

Il tema, quindi, non è formare i nativi digitali ma scuola e famiglia che li devono guidare in un percorso che per loro è inevitabile?

«E’ assolutamente inevitabile e per loro molto favorevole se utilizzato bene. Il paradosso vero è che internet amplia le differenze tra i ceti sociali: quelli che hanno genitori che usano correttamente la rete di solito appartengono a famiglie di condizioni socio economiche più elevate e ne traggono dei vantaggi. Qui entra in gioco il ruolo della scuola: l’Ocse ha stimato in 15 anni il ritardo italiano. Il 100 per cento delle scuole inglesi sono connesse, le nostre sono connesse al 7 per cento. Al di là della connessione, il corpo insegnanti italiano è tra i più vecchi d’Europa, con età media tra 50 e 56 anni: strutturalmente queste persone hanno anche il diritto di non essere formate se nessuno le forma. E in Italia le iniziative di formazione da parte del ministero sono state nulle. Il che produce una serie di danni molto grossi. Non è solo l’investimento finanziario ma quello socio culturale nel capire la rilevanza del fenomeno e nell’affrontarlo che in Italia è assolutamente scarso. L’agenda digitale qua è stata promossa da Monti nel 2013, in Europa l’hanno varata nel 2006. Bisogna fare formazione, cosa che finalmente adesso pare emergere, e dico pare emergere, da questa riforma sulla buona scuola».

Paolo Ferri

Chi è Paolo Ferri. Professore ordinario di Teorie e tecniche dei nuovi media e Tecnologie didattiche alla facoltà di scienze della formazione dell’università Milano Bicocca e dirige il Laboratorio informatico di sperimentazione pedagogica e l’osservatorio nuovi media NuMediaBios. E’ autore di numerose pubblicazioni sul rapporto tra media e società tra cui “Nativi digitali” del 2011 e “I nuovi bambini. Come educare i figli all’uso della tecnologia, senza diffidenze e paure” del 2014. Sarà ospite del Festival della Mente sabato alle 11 nella sala delle Capriate alla Fortezza Firmafede.