Il Papa e i valdesi: storico abbraccio per camminare insieme

La visita di Francesco alla Chiesa valdese di Torino può segnare una svolta nei rapporti ecumenici, tra perdono e diversità riconciliata, nella comune fede in Cristo

Torino, 22 giugno 2015 - Quanto è buono e piacevole che i fratelli vivano insieme": ecco, le parole del Salmo 133 possono accompagnare la storica giornata vissuta nel tempio valdese di Torino con la visita di Papa Francesco, primo Papa nella storia a entrare in un tempio di questa chiesa protestante che ha oltre ottocento anni di vita. Un incontro preceduto da tante attese e che non le ha tradite, anzi, le ha superate, per la sua semplicità, schiettezza e per il clima di vera fraternità che si è respirato all'interno di questo che è il primo tempio che i valdesi, nel 1853, hanno potuto costruire fuori dal "ghetto" delle Valli Valdesi (in Piemonte) in cui erano stati costretti a rifiugiarsi dopo secoli di persecuzioni.

Certo, non è ancora un "vivere insieme" di questi due fratelli (la Chiesa cattolica e la Chiesa valdese) e in generale di tutte le varie chiese cristiane, ma è un'occasione di reciproca "riscoperta della fraternità che unisce tutti coloro che credono in Gesù Cristo e sono stati battezzati nel suo nome", come dice Papa Francesco, ricordando che "unità non è uniformità". Lo stesso moderatore della Tavola Valdese, Eugenio Bernardini, sottolinea con piacere l'affermazione del Papa nella esortazione apostolica "Evangelii Gaudium" dell'unità cristiana come "diversità riconciliata", riprendendo una famosa formula  del teologo protestante Oscar Cullmann.

Un'occasione per nulla formale, senza frasi di circostanza, e siccome tra fratelli ci si dicono anche le cose che non vanno, il moderatore Bernardini non manca di ricordare due punti problematici (tra i tanti) nel rapporto tra valdesi (e protestanti in genere) e cattolici: la definizione data dal Concilio Vaticano II delle chiese evangeliche come "comunità ecclesiali" e non chiese vere e proprie e quella dell'ospitalità ecucaristica, ovvero la possibilità di accostarsi insieme alla mensa della Cena del Signore. Riferimenti non ignorati dal Papa (che certo non può, da solo, con un colpo di spugna cancellare decisioni conciliari e interpretazioni teologiche) il quale ha parlato più volte di "Chiesa valdese" e di certi scambi ecumenici in realtà locali "che fanno pregustare quell'unità della mensa eucaristica alla quale aspiriamo". Cosa seguirà a questo? Ci saranno aperture importanti a un cammino comune, magari in vista del 1517 (anniversario della Riforma Protestante), come auspicato da Bernardini? Vedremo, anche perché come sottolinea il moderatore "il Papa dà il tono della musica, poi le note devono essere scritte anche da altri". L'importante è non lasciare lo spartito incompleto.

E certo, nel parlare di "diversità riconciliata", non possono non venire alla mente le persecuzioni terribili alle quali i valdesi sono stati sottoposti per secoli. Ecco che il Papa, in uno dei momenti più intensi ed emozionanti dell'incontro, chiede perdono: "Da parte della Chiesa cattolica vi chiedo perdono per gli atteggiamenti e i comportamenti non cristiani, persino non umani che, nella storia, abbiamo avuto contro di voi. In nome del Signore Gesù Cristo, perdonateci!". Frasi non banali, non scontate, non di circostanza, un modo bello per chiudere del tutto una pagina (magari remota nel tempo, ma la storia resta lì, non si cambia, non si cancella) e cercare di riaprirne un'altra che, in realtà, è già in essere. "Noi accogliamo con gioia le parole del Papa _dice Bernardini_ la  sua richiesta di perdono ci ha profondamente toccati. Naturalmente non si può cambiare il passato, ma ci sono parole che a un certo punto bisogna dire e il Papa ha avuto il coraggio e la sensibilità per dirle".

La formula della "diversità riconciliata", però, rischia di essere senza significato anche se non è seguita da una pratica concreta di riconoscimento reciproco e quotidiano delle varie chiese, ma soprattutto dalla messa al centro non delle rispettive caratteristiche, ma della comune fede cristiana; non di magisteri e tradizioni, ma di Gesù Cristo. Accettare, insomma, che fra le chiese non vi è un primato o una gerarchia, ma vi è un rapporto fraterno. "Questo è l'ecumenismo _dice Bernardini_ la fine dell'autosufficienza delle chiese; ogni chiesa ha bisogno delle altre per realizzare la propria vocazione".

Da qui, da questa concezione della "diversità riconciliata" le chiese cristiane sono chiamate a lavorare insieme per adempiere al loro mandato di evangelizzare e di servire chi soffre. Sia Bernardini che Papa Francesco hanno fatto riferimento ai migranti, ai poveri, agli ultimi. Di certo, se le chiese cristiane non sapranno accettare le diversità tra di loro, come potranno essere strumento di pace e di riconciliazione nei tanti conflitti, piccoli e grandi, che attraversano il nostro tempo? Quale credibilità avranno nel promuovere l'accoglienza e il rispetto (anzi, la valorizzazione) delle differenze? Ecco, allora che la frase con cui Papa Francesco ha chiuso il suo intervento rappresenta una sfida per tutti i cristiani: "Vorrei che questo incontro ci confermasse in un nuovo modo di essere gli uni con gli altri, guardando prima di tutto la grandezza della nostra fede comune e della nostra vita in Cristo e nello Spirito Santo e soltanto dopo le divergenze che ancora sussistono".

Nel tempio valdese di Torino, grazie allo storico incontro, tutto questo sembra avverarsi e realizzarsi, ma è sin troppo ovvio che il cammino è lungo e che nessuna chiesa può tirarsi fuori da questa sfida: quella di camminare davvero come fratelli che vivono insieme.