"I Miti Viola": oggi in edicola Batistuta e la Supercoppa del 1996

Firenze, 13 gennaio 2018 - Doppietta nella finale di Supercoppa contro il Milan e tripletta in tv davanti alla telecamera, «Irina te amo» urlò Bati a San Siro e quelle parole entrarono nella storia insieme alla vittoria: era il 25 agosto 1996, la Fiorentina portò a casa la seconda coppa in pochi mesi mettendo sotto _ mai successo nella storia del trofeo _ la squadra vincitrice dello scudetto. Batistuta era già un dio del calcio, lo diventò poi in assoluto a Firenze guadagnando il titolo di miglior marcatore viola (151 gol, superato Hamrin) prima di trasferirsi alla Roma. Altri tempi per annunciare un addio così doloroso: nel 2000 Re Leone convocò gli ultras e si presentò da solo all’appuntamento senza cercare giustificazioni, a parte una: «Vado a vincere qualcosa». Raccontare Bati in poche righe è impossibile, nessun giocatore ha lasciato il segno quanto lui per espressione di potenza, maestosità e carattere. Non simpaticissimo, ma un fenomeno della natura. A lui, che alla fine dei primi allenamenti viola non aveva il coraggio di palleggiare di fronte ai compagni perché non si considerava abbastanza bravo, Firenze riserva un rispetto assoluto.

Grazie a Bati sono arrivate imprese memorabili e show da collezionare (il gol a Wembley, basterebbe quello) e anche sulla copertina della finale di Supercoppa, in quell’agosto del 1996, Gabriel lasciò due rare incisioni: pallonetto a Baresi e destro al volo nell’angolino, punizione a giro da una distanza non esattamente comoda. Perché anche se non sapeva palleggiare, né fare la foca, Bati è sempre stato di un altro pianeta. Un poeta inconsapevole. Consapevolissimo, invece, quando lanciò in tre parole la serenata in eurovisione: «Irina te amo!».