SFIDE METROPOLITANE / Monteboro, un vivaio di campioni a misura d'uomo

Le storie della crisi a Firenze e dintorni raccontate da un gruppo di giovani TERZA PUNTATA: SAN CASCIANO / SECONDA PUNTATA: VICCHIO E SCARPERIA / PRIMA PUNTATA: POMINO

Il centro sportivo di Monteboro (foto di Eva Bagnoli)

Il centro sportivo di Monteboro (foto di Eva Bagnoli)

Sfide Metropolitane, quarta puntata: Firenze - Empoli (Monteboro), 36.5 km

Firenze, 7 settembre 2015 - Sfide Metropolitane è un reportage sulla crisi realizzato da quattro giovani fiorentini. Ogni lunedì, sulle pagine online de La Nazione, racconteranno con testi, foto e video tutti gli aspetti della crisi, le storie di chi si trova in difficoltà e di chi ce l'ha fatta. Ecco la quarta puntata, con la tappa Firenze-Monteboro.

Assane Dioussè, diciotto anni ancora da compiere, è solo l’ultimo di tanti. Arrivato in Italia nel 2010, da Dakar, per raggiungere il padre, fin da subito nelle giovanili ha impressionato per doti fisiche e qualità tecnica espresse, che lo hanno aiutato nel compiere una scalata progressiva e repentina. Assane è un centrocampista, gioca in Serie A, nell’Empoli, e recentemente ha stupito un po' tutti per la personalità mostrata in uno degli stadi più importanti d’Italia, San Siro, considerato la “Scala del calcio”. Chi non segue “lo sport più amato dagli italiani” non si preoccupi, oggi non parliamo di calcio, ma di vivai, di giovani promesse, di crescita, di investimenti, di un’eccellenza del nostro territorio metropolitano.

L’Empoli Football Club, seppur considerata una provinciale di poca tradizione, fu fondata nel 1920, ed ha all’attivo ottanta partecipazioni ai campionati nazionali. Sotto la guida dell’attuale presidente Fabrizio Corsi, proprietario dal 1991, si sta affermando come una realtà piccola ma molto solida del pallone nostrano, oscillando tra la massima serie e quella cadetta con decine di giovani promesse scoperte, allevate e lanciate nel grande calcio. Arrivati fuori dallo stadio “Carlo Castellani” abbiamo trovato dei tifosi in attesa che la prima squadra entrasse in campo per allenarsi, in uno di quei momenti di preparazione estiva precampionato che sono il modo per riprendere un discorso interrotto qualche settimana prima. Abbiamo trovato un clima rilassato e familiare, quasi inusuale per una formazione di Serie A che l’anno precedente si è affermata con ottimi risultati. Di qua dai cancelli traspirava il quieto amore per una squadra e per i suoi principi: valori che rispecchiano la realtà in cui sono cresciuti. Il nostro reale interesse, però, era scoprire cosa c’è dietro una società che punta per vocazione sui giovani di talento “fatti in casa”, i ragazzi cresciuti nel vivaio - quello che oggi va tanto di moda chiamare “cantera”.

foto di Eva Bagnoli

Ci siamo allora diretti a Monteboro, dove si allenano primavera, allievi nazionali, esordienti provinciali e pulcini. Dopo qualche rotonda e una strada semi strerrata costeggiata da vigneti, in cima ad una collinetta siamo arrivati alla sede del settore giovanile, una struttura formata da campi da gioco, aree verdi e caseggiati sparsi di diverse dimensioni nei quali sono ospitati uffici, bar, spogliatoi, palestre e un convitto per i ragazzi che provengono da lontano. Un impianto abbastanza grande, molto curato, che si prevede di ingrandire al fine di raccogliervi tutte le categorie giovanili e rendere ancor più percepibile la volontà della società di puntare su uno dei settori giovanili più prolifici della Serie A, un vivaio che quasi ogni anno lancia nuove personalità come quella di Assane o Alessandro Piu altro ragazzo in prima squadra proveniente dalle giovanili.

Il cancello d’ingesso qui è sempre aperto, “anche troppo” aggiungerà il nostro interlocutore, in un clima di totale tranquillità e sorrisi con il silenzio rotto solo da richiami di incitamento e sottofondi di palloni che vengono calciati. Dopo uno sguardo ai campi da gioco, in una giornata di splendido sole veniamo accolti, con una disarmante disponibilità da Marco Bertelli responsabile di tutto il settore giovanile della società. La sua è una storia particolare, la cui importanza e orgoglio attuale gli si riflette negli occhi. Per anni è stato responsabile di una società di dilettanti della zona e poi, così come succede per i giovani calciatori, è stato scovato e messo a dirigere tutte le squadre giovanili di una società, riconosciuta dai molti, come “uno dei posti migliori dove fare calcio” in Italia. Qui meritocrazia, fiducia e rispetto dei valori vincono.

foto di Eva Bagnoli

Avere un centro di questo tipo, solo per i giovani, è un’eccezione che permette di formare uno staff competente e focalizzato ad una crescita umana e sportiva calibrata per i ragazzi. Staff formati da undici specialisti, dall’allenatore agli accompagnatori, che si occupano di seguire e gestire, in media, un gruppo di ventitre giocatori. L’obiettivo dichiarato è quello di formare degli uomini, prima di tutto, perché una personalità solida è un elemento di base per il calcio come per qualsiasi altra avventura che la vita riserverà a questi ragazzi. La società destina così ogni anno una grande fetta dei propri investimenti nel miglioramento di questa struttura, con lo scopo chiaro di puntare tutto sui giovani. Un aspetto in totale controtendenza con la società italiana. Una scelta che paga, lo dicono i numeri. L’anno scorso di tutta la rosa della prima squadra, quattordici giocatori venivano dal settore giovanile, che con il secondo posto ottenuto dagli allievi nazionali nello scorso campionato nazionale si conferma in continuità con quanto di buono fatto finora.

Il messaggio che cogliamo da questa visita al centro giovanile dell’Empoli F.C. - interpretando in maniera libera - è che qui è lecito sbagliare, di più, quasi consigliato. I discorsi sulla crescita personale, l’atmosfera distesa, il puntare decisamente su dei ragazzi inesperti dando a ciascuno il tempo di maturare secondo il proprio ritmo, sono tutte declinazioni di un concetto che fa spesso fatica ad affermarsi sia in un contesto ristretto al solo mondo del calcio quanto allargato alla società più in generale: per cogliere buoni frutti bisogna saper aspettare, ci vogliono tempo ed una buona dose di errori. In questo l’Empoli ricorda, nonostante un dispiego di mezzi comunque significativo, quelle piccole imprese a conduzione familiare che producono prodotti di nicchia. C’è la ricerca della qualità, c’è la pazienza ed il saper fare artigiano, c’è l’interazione faccia a faccia mai spersonalizzata. Si tratta di un modello di business, forzando ancor di più la metafora, che riesce a produrre un Di Natale o un Rugani (per i profani, sono calciatori affermati), quasi tutti gli anni.

Nonostante questo la piccola dimensione della società, misurabile in un bilancio di molto inferiore alle competitrici, ha un impatto che non può essere ignorato e ricadute su crescita e competitività sono inevitabili. Vero è che la dirigenza del club toscano è riuscita fin qui ad assecondare molto bene questi limiti strutturali, facendo di necessità virtù, ma viene spontaneo chiedersi perché un modello come questo, che riesce a formare un capitale umano qualificato non riesca a compiere un salto di qualità, a competere stabilmente nelle fasce medio alte del campionato italiano. Solo un’altra storia di sopravvivenza? Sarebbe esagerato sostenerlo, ma a noi pare vero, in un certo senso.

Di sicuro è un’eccezione. Prima di andare via ci intratteniamo con il tutor scolastico, “il maestro” come lo chiamano qui, il quale da ben quindici anni si occupa di aiutare e seguire nella formazione scolastica i ragazzi che vivono nel convitto. Anni di esperienza dimostrano come la relazione diretta tra risultati a scuola e in campo siano il connubio giusto per arrivare in fondo ad un percorso che, come per tutti i ragazzi che fanno sport a livello agonistico, si porta via in fatto di tempo e sacrifici il periodo più bello. Alla domanda su come i genitori dei ragazzi vivano le allettanti promesse rappresentate dai propri figli scopriamo che il maestro stesso è padre di una di quelle promesse, uno di quelli che ha trasferito la propria famiglia e la propria vita in un posto dove inseguire un sogno che poi non si è realizzato. Senza recriminazioni, sono cose che possono succedere e negli ultimi tempi le proiezioni sui figli e lo stress di arrivare sono diminuite, almeno qui.

Il sogno è quello di poter crescere ancora, possibilmente con meno ragazzi per poter investire ancora di più nella qualità, non solo sportiva ma umana, di chi abita questa oasi di calcio, e nella competitività che porterebbe una realtà come questa a confrontarsi con squadre estere. Investire e implementare in competizioni europee di questo tipo è l’unico futuro ed è compito di una Federazione Calcio che ama tanto i proclami sui giovani e gli italiani, ma fa poco in termini pratici, mentre tutto si regge sul coraggio di crederci di una società come l’Empoli, e poche altre realtà, che dimostrano come investire sui giovani funzioni, oltre ad essere gratificante.

Testo di Lapo Cecconi, Gianluigi Visciglia, Jacopo Naldi.

Foto di Eva Bagnoli.

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