Stefano Bollani suona Napoli

L'album Napoli Trip sarà presentato il 18 a Valdarno Jazz

Stefano Bollani (foto Valentina Cenni)

Stefano Bollani (foto Valentina Cenni)

San Giovanni Valdarno (Ar), 17 luglio 2016 _ “L’interesse per Napoli è cominciato con il libro “L'America di Renato Carosone”, che scrissi per Elle U Multimedia nel 2004, poi ho allargato il discorso, perché principalmente mi piaceva l’idea di fare qualcosa con Daniele Sepe. E’ stato il primo a cui ho parlato del progetto il primo che ho tirato nella barca”. L’eclettico Stefano Bollani si conferma un pianista con il dono dell’espressività e affronta con naturalezza le più diverse espressioni d’arte. Napoli per lui è una passione che viene raccontata in un turbinio di collaborazioni e spunti e che animano il disco “Napoli Trip”, per cui ha composto nuovi brani e improvvisato sui ritmi partenopei del passato. Con grandi complici e grande verve, sia nel cd che nel live, che lo vedrà protagonista al piano e al fender rhodes con il sassofonista Daniele Sepe, il sassofonista e clarinettista Nico Gori e il grande Jim Black alla batteria il 18 luglio a San Giovanni Valdarno in occasione del Valdarno Jazz Summer Festival.

Stefano, cosa la lega a Napoli?

“L’energia sotterranea di quella città, che arriva dal vulcano e fa in modo che i napoletani resistano a tutte le dominazioni. Con un sano istinto di ribellione”.

In tour guiderà un quartetto inusuale e reattivo?

“Nel cd sono andato anche oltre, con un dj norvegese e un mandolinista brasiliano, in modo da fare un ritratto di Napoli il più lontano possibile da qualsiasi agiografia. Jan Bang, che è appassionato di musica italiana degli anni ’50 ha lavorato su sovrapposizioni e campionamenti. Io mi sono aggiunto dopo. Il mandolino di Hamilton de Hollanda è perfetto per Reginella. Il progetto è partito da me, ma poi sono l’ultimo ad aver messo la zappa”.

E la pizza ce l’ha messa?

“Nel testo del brano in inglese. I luoghi comuni sono tutti concentrati lì e sbeffeggiati”.

Continua a divertirsi con la musica?

“Molto, un altro che lo fa è Daniele Sepe, che ha un grande spirito, voglia di suonare con gli altri e vivere la musica senza confini, senza andare dietro alle mode”.

Che differenza c’è fra il disco e il live?

“Due batteristi diversi, uno più bravo dell’altro: Manu Katche e Jim Black. In realtà cambia tutto. Nel live ci saranno 1000 altre cose. Non è mai stata mia intenzione riproporre il cd. E’ una rampa di lancio per fare altro”

Ha altri impegni questa estate?

“Inizio da Amsterdam con l’Orchestra Sinfonica, con un set che sarà una sorta di training per il concerto che terrò a Lipsia l’11 settembre, con la MDR, l’orchestra della radio: il direttore Christian Jardim mi ha commissionato un concerto per pianoforte e orchestra che sto scrivendo. Ho in programma set di piano solo e suonerò a Roma e al Festival dei due Mondi con l’Orchestra Santa Cecilia”.

Nel frattempo ha fatto anche un omaggio a Bowie?

“Non ero un suo fan, ma ho suonato “Life on Mars”, un pezzo suo che mi piaceva nel mio “Live from Mars” che fondamentalmente è un disco live di piano solo”.

Altro che jazz, ormai la sua è creatività allo stato puro?

“E’ quello che ho sempre pensato di fare anche da bambino. Non dividevo la musica in generi. Poi uno scopre che il mondo invece divide tutto: uomini e donne, arabi ebrei, bene e male, jazz e rock. Crescendo. per fortuna, torni un po’ bambino e ti rendi conto che tutto questo non ha molto significato”.