L'inferno nei call center: "Io, laureata, guadagno 4,5 euro l'ora "

Storia di Giulia, che è tornata in Italia e non ha trovato niente di meglio di un lavoro precario

Call center (Foto archivio)

Call center (Foto archivio)

Arezzo, 22 ottobre 2014 - Una laurea, un lavoro all’estero ma ritrovarsi a 31 anni in Italia a lavorare per 4,5 euro all’ora. È la tristissima, ma purtroppo non unica e nemmeno rara, storia di Giulia (nome di fantasia), una delle tante impiegate dei call center di Italia. Giulia è nata e ha vissuto in provincia di Arezzo fino al conseguimento della laurea. Una volta ottenuto il famoso «pezzo di carta», ha pensato bene di andare a fare un’esperienza all’estero, in Spagna. Doveva essere un tentativo invece le cose vanno meglio del previsto.Qui, infatti, Giulia trova subito un lavoro e viene assunta in un’azienda a tempo determinato per pochi mesi. Passato questo periodo di prova, scatta l’assunzione a tempo indeterminato con tutte le tutele del caso. Il paradiso? Gli somiglia molto ma poi il destino decide di metterci del suo: «Purtroppo per motivi personali sono dovuta tornare in Italia — spiega — per stare vicina alla mia famiglia. Così è iniziata la mia avventura alla ricerca di un nuovo lavoro». 

Per i primi tempi Giulia si arrangia come fanno un po’ come tutte le ragazze della sua età. Lavora come baby sitter, dà ripetizioni a bambini e ragazzi e così riesce a racimolare qualcosa in fondo al mese, non senza fatica. Poi capita un’occasione, anche se il termine andrebbe messo tra molte virgolette, il lavoro in un call center. «Sono passata anche attraverso una selezione e un corso di formazione. Tutto questo per guadagnare 4 euro e mezzo all’ora netti. A cosa serve laurearsi in Italia? Una donna delle pulizie, e lo dico con il massimo del rispetto, guadagna minimo 8 euro l’ora. Tanto valeva buttarsi in quel mercato e non perdere tempo sui libri. Oltretutto, per raggiungere il luogo di lavoro devo usare la mia macchina perché non ci sono servizi di trasporto adeguati dove abito. Perciò dal già magrissimo stipendio togliamo anche la spesa per la benzina e la macchina, si sa, più viene usata più rischia di rompersi». 

Un meccanismo perverso di cui ormai si conoscono le modalità. In pratica, le grandi società ad esempio telefoniche, appaltano il servizio ad agenzie che lavorano sul territorio. Queste, a loro volta, si aggiudicano gli appalti al ribasso, perciò gli stipendi per chi vi lavora non saranno mai adeguati e questo senza che le società che danno il servizio in appalto sappiano qualcosa o se ne curino minimamente: «Questo giochino conviene a tutti — spiega amaramente Giulia — anche a lei che scrive o a chi legge. A tutti piace telefonare la domenica alle sette di sera per chiedere informazioni sulla carta di credito o sul contratto telefonico e trovare assistenza. Ma dietro quel servizio che viene offerto a tutti c’è un mondo di sfruttamento e di totale azzeramento dei diritti».

Un dramma che accomuna migliaia di ragazzi in tutta Italia e Arezzo non fa eccezione. Sono quei ragazzi che magari qualche volta abbiamo preso a male parole perché telefonano a casa anche agli orari più impensabili per parlare della tale promozione su un determinato servizio. Inutile sottolineare che il dramma non è soltanto personale ma riguarda un’intera generazione tagliata fuori da ogni prospettiva di realizzazione. E forse niente può essere più triste di non riuscire a immaginare il proprio futuro.