Bancarotta Etruria, da Caltagirone a Sacci la lista nera dei grandi debitori

Nel mirino della procura una quindicina delle sofferenze più importanti. Anche gli imprenditori potrebbero essere sentiti dai Pm. Quali sono le aziende aretine coi crediti deteriorati Sequestro Bronchi: attesa per il Gip; Bancarotta: il nodo prestiti e consulenze

Francesco Bellavista Caltagirone sullo sfondo del porto di Imperia mai finito

Francesco Bellavista Caltagirone sullo sfondo del porto di Imperia mai finito

Arezzo, 22 marzo 2016 - IL BELLO (o il brutto, a seconda dei punti di vista) deve ancora venire. Perchè l’ipotesi di bancarotta fraudolenta contestata all’ultimo Cda di Banca Etruria (presidente Lorenzo Rosi, vice Alfredo Berni e papà Boschi) per la liquidazione dell’ex direttore generale Luca Bronchi è quasi niente (relativamente, si parla sempre di 1,2 milioni) rispetto alle cifre che sono in ballo adesso e che sono soprattutto quelle delle grandi sofferenze per le quali Bpel è arrivata al crac. Basta un dato, 2,9 miliardi di crediti deteriorati grossi e piccoli per capire che la buonuscita del dg è poca cosa.

Quando, però, si parla di sofferenze, l’ultimo Cda c’entra poco: negli otto mesi in cui è rimasto in carica di finanziamenti rilevati non ne furono deliberati o quasi, anche perchè la situazione della banca era ormai comatosa. Bisogna risalire semmai all’attività dei consigli d’amministrazione precedenti, a cominciare dal più recente (sotto inchiesta anch’esso), quello cui subentrarono Rosi, Boschi & C, ma del quale il presidente commissariato e il padre del ministro erano già membri. E’ da lì appunto che sta ripartendo il pool dei Pm guidato dal procuratore capo Roberto Rossi, allargandosi per cerchi concentrici agli amministratori che nel corso degli ultimi anni hanno votato sui finanziamenti mai rientrati, o perchè li hanno decisi o perchè li hanno confermati, nella speranza che la banca non dovesse registrare a bilancio una perdita.

INTENDIAMOCI: di per sè un credito deteriorato non è reato, fa parte piuttosto del rischio d’impresa. Ma se il fido viene concesso a un’azienda già decotta, della quale è ragionevole pensare che non sia in grado di far fronte ai suoi impegni, allora può essere imputato come una distrazione patrimoniale e quindi come bancarotta. Rivediamolo allora l’elenco delle grandi sofferenze, che La Nazione aveva già pubblicato in anteprima. Lì probabilmente c’è il cuore dell’indagine, tanto che, secondo autorevoli indiscrezioni, gli imprenditori destinatari dei fidi potrebbero essere sentiti in procura prima ancora dei consiglieri indagati.

La lista nera la guidano due nomi noti dell’economia nazionale. C’è innanzitutto Sacci, a lungo un dei gruppi leader del cemento, il cui presidente Augusto Federici è stato nel Cda fino al 2011: le valutazioni sui soldi persi oscillano fra i 45 e i 60 milioni, Idem dicasi per il gruppo Caltagirone (Francesco Bellavista) che tra Acqua Marcia, Acqua Marcia e Acquamare (quella del porto di Imperia finito a patrasso) accumula altri 45 milioni di crediti deteriorati. Il terzo posto invece tocca al gruppo Angelini (sanità) che con le due cliniche abruzzesi Sanatrix e Villa Pini (coinvolte anche nella Sanitopoli di Ottaviano Del Turco) mette insieme una voragine da 25,5 milioni. Seguito dalla società immobiliare romana Sogeim (23 milioni) e da Energia Ambiente (del gruppo Saico di Paolo Nicchi e famiglia Zucchi, la prima azienda aretina in lista): 24,5 milioni.

L’ELENCO continua con l’Interporto di Roma (17 milioni in sofferenza) e l’Abm di Alberto Rigotti (il consigliere che espresse il contestatissimo voto decisivo per la defenestrazione di Elio Faralli e che ha lasciato un buco di 16 milioni). Un capitolo a parte lo merita la Privilege Yard del famoso mega-Yacht Etruria che ancora arruginisce nel porto di Civitavecchia (si veda il pezzo a fianco): 20 milioni finiti nel vento. Senza dimenticare l’outlet Città Sant’Angelo che è costato a Rosi e Luciano Nataloni l’accusa di conflitto di interessi: la sofferenza è di 15 milioni, dovuti alla crisi della coop emiliana Unieco, socia dell’affare. E poi ci sono gli aretini: almeno 15 milioni la Del Tongo, 14 il gruppo Mancini, 9,4 Casprini, 8,5 i Landi con la società romana Eda. E’ in questa lista che i Pm andranno a scavare. I primi fidi sono del 2006, ma molti sono stati prorogati fino al 2014. E’ qui probabilmente il cuore di tenebra della bancarotta Etruria.

Salvatore Mannino e Sergio Rossi