L’Appello alle spalle, manca solo la Cassazione

L’avvocato Carloni: "Fondamentale aver riconosciuto il disastro come un incidente sul lavoro. Altrimenti finiva tutto in prescrizione"

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L’undicesimo anniversario della strage viene celebrato quando ancora la parola fine sulla vicenda processuale non è stata ancora messa. Lo scorso 30 gennaio sono scaduti i termini per presentare i ricorsi in Cassazione (cosa che hanno fatto sia le difese degli imputati che gli avvocati di parte civile), ma ancora non è stata fissata l’udienza. Fra l’altro i mesi di lockdown potrebbero causare ulteriori ritardi. Difficile fare delle previsioni, ma diciamo che la discussione al Palazzaccio potrebbe svolgersi tra la fine di quest’anno e la prima vera del 2021.

Il processo d’Appello, è bene ricordarlo, si è chiuso il 20 giugno del 2019 – proprio alla vigilia del decimo anniversario del disastro ferroviario – con 16 condanne fra cui quella eccellente dell’ex amministratore delegato delle Ferrovie Mauro Moretti (7 anni). Manca ancora l’ultimo verdetto, ma un fatto è certo: la giustizia italiana, sia pur procedendo molto lentamente, ha espresso chiaramente una sua valutazione nel merito della vicenda: il disastro di Viareggio poteva essere evitato e pertanto i primi responsabili sono stati riconosciuti coloro che ricoprivano posizioni apicali nei cda delle aziende coinvolte.

L’avvocato Riccardo Carloni fa parte del pool di avvocati di parte civile a difesa dei familiari delle vittime.

Avvocato, che cosa ci lascia in eredità questo processo?

"Credo siano state scritte pagine importanti della giustizia italiana da parte di giudici di primo e secondo grado che hanno dimostrato grandi capacità umane e professionali".

Qual è stato l’aspetto più importante di queste sentenze?

"Direi due. Innanzi tutto l’aver riconosciuto l’applicabilità delle norme sugli infortuni sul lavoro a questo disastro. Senza questo riconoscimento sarebbe andato in prescrizione anche l’omicidio colposo. L’altro aspetto saliente è quello di aver considerato Mauro Moretti responsabile del disastro anche nella sua veste di amministratore della holding. I giudici hanno capito che non si limitava a impartire delle semplici linee guida, ma entrava operativamente nelle attività di tutte le aziende controllate dalle Fs".

A livello umano che cosa le resta?

"Come uomo e professionista un’esperienza in cui ognuno di noi ha dato veramente tutto. per mesi abbiamo lavorato fino all’1 e alle 2 di notte. Ma lo abbiamo fatto volentieri, perché mai come in questo caso abbiamo sentito una così forte vicinanza umana con i nostri clienti. Ci siamo sentiti coinvolti".

Chiunque ricorda perfettamemente quello che ha fatto quel giorno, quella notte.

"Io avevo discusso una causa importante di un incidente mortale sul lavoro. Ero spossato, sfinito. Dopo aver sentito le esplosioni andai a casa dei miei figli in via San Martino. Non si respirava dal fumo che c’era...".

Paolo Di Grazia