Amadei: "La mia amicizia con Alberto Burri"

Il titolare della ‘Galleria delle Arti’ racconta il grande maestro tifernate

Da sinistra Alberto Burri, Luigi Amadei e il giovane artista Vasa

Da sinistra Alberto Burri, Luigi Amadei e il giovane artista Vasa

Città di Castello, 7 dicembre 2015 - MENTRE il mondo celebra il centenario della nascita di Alberto Burri, a Città di Castello c’è chi conserva del maestro un ricordo profondo e appassionato. E’ Luigi Amadei, titolare della «Galleria delle Arti», la più antica galleria privata attiva in Umbria, che con il grande artista ha avuto un lungo rapporto personale e professionale. E adesso racconta.

Come è nata la sua amicizia con Burri e come è cresciuta?

«Lo conoscevo perché frequentava la casa di mio cognato, il cui padre, medico, era amico d’infanzia del maestro. Ma il mio rapporto amicale-personale si è sviluppato alla fine degli anni ’70. Dopo la maturità classica, nel ’76, per soddisfare la mia passione per l’arte, ho aperto la ‘Galleria delle Arti’ e e spesso acquisivo le opere di Burri, soprattutto grafiche e piccoli dipinti da galleristi o amici del maestro. Tra l’altro posseggo ancora il più piccolo Burri al mondo: una ‘muffa’ di 2,5 centimetri per 8».

E a livello professionale?

«Dopo l’apertura della Fondazione di Palazzo Albizzini (una scommessa culturale vinta dal maestro), ho ospitato, negli anni, diverse mostre personali di grafica e collettive con pezzi unici provenienti direttamente da Burri. Per lui la grafica e i pezzi unici erano la stessa cosa, tanto era l’ impegno creativo che vi profondeva. Sicuramente Burri apprezzò la mia grande passione per l’arte moderna, la mia dedizione totale al lavoro di gallerista come la giovanile ricerca di qualità».

C’è una curiosità, un aneddoto che le piace ricordare?

«Nei primi anni ’90 Burri mi offrì la presentazione, in anteprima, della serie dei multipli Oro e Nero che non potei realizzare per motivi economici. Dopo la Guerra del Golfo eravamo in piena crisi, ancora me ne rammarico. Amava la natura, soprattutto quella americana. Quando fui ospite nella sua casa in California, durante un viaggio nella ‘Death Valley’ mi prese da parte e mi disse: ‘Ricorda che stare vicino a me crea delle invidie’. Dopo vent’anni ne ho capito il vero e profondo significato. E ricordo anche una visita al Museo di Los Angeles con una lezione su Van Gogh fatta da Burri».

Che hobby aveva?

«Oltre la fotografia, la caccia, la lettura c’era la passione per la squadra del Perugia Calcio che poi lo deluse molto per le note cronache del calcio scommesse».

Che tipo era Burri?

«Il suo carattere era ‘cavalleresco’, duro di modi ma di animo gentile, non amava l’affettazione e dagli amici esigeva lealtà, fiducia e naturalmente ammirazione per il suo lavoro, d’altronde l’arte era la sua vita. Burri dipingeva quotidianamente e in silenziosa solitudine. Quando gli prospettavano opportunità espositive sceglieva sempre in base alla peculiarità del luogo e soggetti. Ho visto declinare esposizioni molto importanti, anche economicamente, perché i luoghi non erano in sintonia con la sua ‘vision’».

Come lo ricorda?

«Un esempio da seguire o su cui riflettere per tutti coloro che amano e praticano le cose d’arte».

Sofia Coletti