FIRENZE
Il XIX secolo si era chiuso sotto i peggiori auspici. L’attentato a re Umberto dell’anarchico Gaetano Bresci, a Monza, il 29 luglio 1900, occupò tutta la prima pagina de La Nazione che titolava: “Il lutto della patria”. L’evento parve foriero di nuovi conflitti sociali. In realtà, il decorso degli eventi politici, con la svolta del nuovo secolo che ebbe in Giovanni Giolitti il protagonista, contraddisse questo pronostico. Il nuovo clima di dialogo con le forze della sinistra politica e sindacale, propiziato dal governo Zanardelli Giolitti si manifestò con l’astensione dall’uso della forza pubblica nei conflitti di lavoro. La Nazione ne paventava le conseguenze destabilizzanti e ne trovava riscontro nello sciopero generale di Firenze dell’agosto 1902, che scaturì dalla fabbrica Pignone e dilagò in tutta la città. Arrivano i “nuovi barbari”, scrive La Nazione, che trova in questa vicenda conferma della giustezza delle rigide posizioni avverse assunte dalla Destra toscana guidata da Sidney Sonnino e con lui dai Cambray Digny, padre e figlio, e da Filippo Torrigiani.
Diversa e gradualmente aperturista era la linea del giornale verso l’altra grande novità del nuovo secolo: il discreto avvicinamento del mondo liberale al mondo cattolico. Il processo è accentuato dopo la morte di Leone XIII, nel luglio 1903, e l’avvento al soglio pontificio di Pio X, che scioglie l’Opera dei Congressi. L’attenuazione del non expedit, per il quale i cattolici dovevano astenersi dal voto secondo la formula “né eletti né elettori”, fino ai veri e propri accordi elettorali sottoscritti da candidati liberali col Patto Gentiloni, nel 1913, trovarono il graduale appoggio della pur laica Nazione.
Ma non c’era solo la grande politica che rifluiva nelle pagine del giornale. C’erano anche le cronache cittadine con la vicenda dell’amministrazione di Palazzo Vecchio che nel giugno 1907 è conquistata dai blocchi popolari del sindaco Francesco Sangiorgi e ci sono le vicende sportive. La Nazione va all’opposizione di questa inedita alleanza fra radicali, repubblicani e socialisti, ma è attenta a cogliere gli umori della città anche su temi che diverranno cruciali. Informa che i tifosi chiedono proprio all’amministrazione di sinistra di avere un luogo ove potere sviluppare il gioco del calcio e ricevono in dotazione il Campo di Marte: è il primo passo di una lunga storia.
Intanto, La Nazione ha cambiato sede per approdare in quella che sarà la sede definitiva per sessant’anni, fino al 1966, in via Ricasoli 8. È segno della crescita del giornale che si dota di ambienti più ampi e può sistemare al piano terra nuove linotypes e una piccola rotativa. Per dare più spazio alla redazione il palazzo verrà elevato di un piano. Nella crescita del giornale è determinante il passaggio della proprietà dai Corsini a Egidio Favi, nel marzo 1915. Una transizione importante: sia per la linea politica, con l’immediata conversione interventista del giornale dopo le incertezze dei mesi precedenti, sia per l’accordo con La Stampa di Torino che permette lo scambio delle corrispondenze fra le due testate con reciproco arricchimento. Dopo la guerra, Favi continuerà a investire nel giornale acquistando l’immobile di via Ricasoli.
La Nazione cresce anche per la diffusione delle cronache locali che insediano saldamente il quotidiano sul territorio senza perdere di vista la natura di testata nazionale. Prima della guerra, La Nazione si occupa di accompagnare i fervori tripolini. È una guerra coloniale fatta da Giolitti controvoglia, costretto dalla destra liberale, sonniniana e salandrina. La Nazione comprende che non è la guerra di Giolitti e l’appoggia. Soprattutto intuisce che essa potrebbe segnare il suo declino. Quindi arriva l’entrata in guerra dell’Italia con pieno appoggio di una Nazione che si è fatta decisamente interventista.
Le cronache di guerra sono affidate a un cronista d’eccezione, Ardengo Soffici, scrittore, pittore, intellettuale multiforme che inaugura la carrellata delle grandi firme de La Nazione, intellettuali di punta del Novecento italiano: da Vittorio Gui e Jarro; da Eugenio Montale a Carlo Bo a Romano Bilenchi per citarne solo qualcuno. Sul fronte letterario e culturale, nella terza pagina, La Nazione tiene alta la bandiera della testata, riflesso di una Firenze capitale della cultura, pur nella uniformizzazione forzata dei temi politici imposta dalla censura del regime. La proprietà di Favi opera per tenere lontano dalla redazione i fascisti fanatici, mentre il direttore Aldo Borelli, con Carlo Scarfoglio come direttore politico, pur piegandosi al fascismo come stato di necessità, fa ogni sforzo per mantenere fede ai canoni professionali del giornalismo che, se anche orientato, non occulta e non manipola i fatti.
Ne fu esempio l’autocritica di Borelli che fu indotto da Curzio Malaparte, su ordine di Italo Balbo, a dare la notizia che emissari del re a Milano aveva conferito a Mussolini l’incarico di formare il nuovo governo.
Borelli cadde nella trappola e pubblicò un’edizione straordinaria il 25 ottobre 1922 per comunicare in anteprima la notizia quando ancora la marcia su Roma non era compiuta. Ebbe poi l’onestà intellettuale di comunicare ai lettori che la notizia era falsa. Né va dimenticato che nel giugno 1925, a regime ormai consolidato, La Nazione fece un servizio per ricordare Matteotti a un anno dall’omicidio.
Era un atto di coraggio e di corretto giornalismo quando parlare di Matteotti era ormai considerato un tabù. Quando nel 1929 il direttore Borelli lasciò la direzione de La Nazione per assumere quella del Corriere della Sera, la proprietà cercò di pilotare la successione verso un moderato. Ci riuscì con il nazionalista Umberto Guglielmotti che diresse la testata fino al 1932. Ma i tempi erano sempre più duri. Favi fu costretto dai fascisti a comprare il “Nuovo Giornale”, il diretto concorrente de La Nazione, che veleggiava in cattive acque, nonostante l’ossequio sfegatato al regime. Si adattò a farne l’edizione pomeridiana de La Nazione.
L’uniformizzazione al regime trionfante era ineludibile. La conquista dell’Etiopia nel 1936 segnò il momento di massimo consenso al regime. Poi iniziò il declino, a partire dalle leggi razziali, varate dopo la visita trionfale di Hitler a Firenze, nel maggio 1938, ma con le finestre dell’arcivescovado di Elia Dalla Costa rigorosamente serrate, anche se nessuna foto delle cronache del tempo poteva rappresentarle. Poi arrivò la guerra a fianco della Germania, osteggiata dagli italiani. Avrebbe dovuto essere di brevissima durata, ma durò a Firenze fino all’agosto 1944. I toni trionfalistici delle cronache di guerra del ’40 e del ’41 si smorzarono progressivamente fra il ’42 e il ’43.
Il 28 luglio 1944 La Nazione interruppe le pubblicazioni, sostituita da La Nazione del Popolo, organo del Comitato toscano di Liberazione nazionale. La ripresa venne il 27 marzo 1947 con la direzione di Giulio Caprin che aprì una serie di prestigiose direzioni che riporteranno La Nazione ai vertici del giornalismo italiano.