Il Palio di Fromanger, la verità sullo scandalo che non c’è stato

Gérard non se la sentì di dipingere la Madonna. Scelse una madre con il passeggino, l’arcivescovo non fece polemiche

Gérard Fromanger ci ha lasciato. La morte l’ha ghermito all’improvviso nella sua Parigi. Avrebbe tra poco compiuto 82 anni. Era riuscito a battere il cancro che l’aveva colpito ed aveva ricominciato a lavorare con la frenetica gioia che sempre l’ha distinto, a invitare amici, a dipingere con entusiasmo creativo. Gérard era la vitalità fatta persona e si era talmente affezionato a Siena che tutte le biografie che l’hanno ricordato terminano dicendo che aveva due atelier: uno a Parigi, uno a Siena, sul cocuzzolo di Montauto nella mitica e festante Etruria che per lui fu una luminosa patria.

Anche in questo pendolarismo tra gli ambienti amati dall’intellettualità francese in perenne rivolta e gli amici cari di Siena, e i contadini eredi di una misteriosa e terragna civiltà, Gèrard rivelava la duplicità di un carattere che univa sofisticata eleganza nella ricerca e impeto d’affetti autentici. Stava lassù con Anna nel suo vasto atelier come un anacoreta, ma ogni anno il suo calendario era fitto di mostre che spuntavano dappertutto. A Parigi, al Pompidou, e a Londra, a Grenoble (dove aveva esordito nel 1966) e a Pechino, a Brest e Osaka, a New York….

Era davvero un artista globale che inventava soluzioni che riuscivano a parlare a tutti con l’emozione caleidoscopica dei colori. Si era gettato a capofitto nella rivolta del Sessantotto divenendo uno dei protagonisti con i “Souffles”, bolle rosse di plastica che fecero scandalo. Al dilemma se bisognasse dipingere la rivoluzione o rivoluzionare la pittura non ebbe esitazioni a rispondere: rivoluzionare la pittura, abbandonare i formalismi, riprendere il cammino della trasgressione.

A Siena espose ai Magazzini del sale nel 1983: a presentarlo in catalogo fu lo stesso sindaco Mauro Barni, con testi di Aldo Cairola e Alessandro Falassi. Fu solo la prima occasione senese. Nel 1998 Alain Jouffroy e Nanni Guiso commentarono la sequenza delle opere allineate all’Aminta di Sandro Magnoni: avevano a tema il mutevole spazio del Campo. Componevano un film con il brioso ritmo che Gérard modulava come in uno spartito musicale. Il drappellone del 16 agosto 1989 è inscritto negli annali del Palio come prova unica e irripetibile.

Non se la sentì di dipingere la Madonna. L’irrigidita iconicità del sacro lo imbarazzava. E, seguendo la sua poetica della Figurazione narrativa chiamò alla ribalta, tra uno stormo d’uccelli uscito da una famosa tomba di Tarquinia, una madre qualsiasi, che spingeva il carrozzino con assiso il figlioletto. L’arcivescovo Mario Ismaele Castellano lì per lì rimase interdetto, ma con paciosa benevolenza accettò l’omaggio senza suscitare polemiche. Io ebbi il compito di illustrare l’ambito trofeo e indicai nella bianca colomba che volteggiava sulla testa dell’affaccendata madre il simbolo di una pura spiritualità. Tirai fuori perfino un verso del Tasso. Mi torna in mente quella tumultuosa sera, che celebrò l’aurea unione tra l’estro felice di Gérard e una Siena grata e amica per sempre.

Roberto Barzanti