‘Tavola tavola, chiodo chiodo’ agli Impavidi "Il mio Eduardo fra arte, teatro e tormenti"

Lino Musella stasera e domani protagonista del monologo sul grande De Filippo. "Ho studiato il suo lavoro fatto dietro le quinte"

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di Chiara Tenca

Il nuovo spettacolo della rassegna "Cuori Impavidi", in programma oggi e domani alle 20.30 nel teatro sarzanese che le dà il nome, è un omaggio di un uomo di palcoscenico napoletano ad una vera e propria colonna partenopea di quest’arte: il grande Eduardo. A dar vita a questo monologo, scritto insieme a Tommaso De Filippo con un metodo che contamina il lavoro dello storico e quello dell’autore, e ad interpretarlo è Lino Musella. Talento poliedrico e conosciuto anche per la partecipazione a celebri serie quali Gomorra e The Young Pope, ha scelto di intitolarlo "Tavola tavola, chiodo chiodo". "Sono le parole incise su una lapide del palcoscenico del San Ferdinando, che Eduardo erige a Peppino Mercurio, il suo macchinista per una vita, che tavola dopo tavola era stato il costruttore di quello stesso palcoscenico, distrutto dai bombardamenti nel ‘43" spiega.

Un gigante della storia del teatro approda in quello contemporaneo: come lo porta nei giorni nostri?

"Lo spettacolo non intercetta materiali legati alle sue opere, ma piuttosto, tramite un lavoro di scrittura di scena, quelle che possono essere risposte o riflessioni a considerazioni sull’importanza e la necessità del teatro come forma d’arte all’interno della società. Attraverso lo studio, ho trovato moltissime suggestioni e risposte di Eduardo ai contemporanei di allora e alla luce di questo e di quanto accaduto dopo le chiusure della pandemia, posso affermare che sia stata ribadita la necessità di tornare in teatro: non per i teatranti, ma dallo stesso pubblico, per se stesso".

Chi è Eduardo?

"Colui che ha aperto anche la strada, che già esisteva, alla grande tradizione del teatro napoletano: grazie al lui possiamo innamorarci che Napoli porta in sé, non solo a teatro, che qui è universale perché si tratta di una città che contiene il mondo e tutte le sue contraddizioni".

Che metodo ha usato per orientarsi in questo mare magnum di documenti?

"Ho lavorato con l’aiuto di una storica, Maria Procino, che mi aveva già suggestionato con il libro ‘Eduardo dietro le quinte’ vent’anni fa. Rimasi colpito dalla versione di lui impresario, scoprendo che quest’uomo ha affrontato anche un percorso fallimentare. La sua faccia di Don Chisciotte del teatro è meno conosciuta, ma ci parla molto di più e ci fa innamorare ulteriormente della sua figura: i suoi problemi e le questioni che lo hanno tormentato sono simili alle nostre, lo umanizzano ed è sorprendente, accomunando la sua e la nostra rabbia contro la politica, quanto le cose non siano cambiate".

Dopo il Covid si torna a teatro ed al cinema, ma forse il primo sta meglio del secondo?

"È un dato oggettivo e difficile da analizzare, di cui però possiamo immaginare i motivi: si moltiplicano le piattaforme e la tecnologia offre a poco prezzo tv che sembrano grandi schermi. Forse il cinema ha bisogno di tornare ad un rapporto più diretto con platea, ad esempio con i cineforum, trattando il pubblico come fosse fatto di abbonati: la gente ha voglia di ritrovarsi come comunità"

Torna a lavorare con la Compagnia degli Scarti nel nostro territorio.

"Esatto: ero già stato al Dialma Ruggiero con ‘The night writer’ di Jan Fabre: era il 2019, ma ci siamo dovuti fermare. È stato un contatto importante, che ora viene rinnovato con grande piacere di entrambe le parti".

Dal teatro off di Fabre ad uno spettacolo per un pubblico più mainstream: quale dimensione le si addice di più?

"Questo ultimo lavoro è estremamente ricercato: sono solo in scena per un’ora e 40 minuti con un testo basato su lettere private, altre che parlano di crediti e ancora istanze politiche ed interviste. Grazie allo spirito di Eduardo, il lavoro di archivio si mescola all’ironia e al gusto per lo spettacolo, che rendono questo materiale popolare. ‘Tavola tavola, chiodo chiodo…’ in particolare coniuga tutti e due gli aspetti. Tra un pubblico totalmente ricercato ed uno totalmente popolare, sceglierei un mix: le platee eterogenee sono le più interessanti e si contaminano a vicenda".

Qual è l’importanza dei teatri di provincia come l’Impavidi?

"La provincia delle piccole città è arteria dell’organismo Italia; purtroppo, da quando esistono i teatri nazionali e c’è stata volontà accentrare i poteri di economie in alcune città, ci sono meno risorse per queste realtà importantissime e di qualità. Credo sia necessaria una redistribuzione dei fondi, analizzando lo stato delle cose tramite l’esperienza dei teatranti che sono stati in giro".