Terrorismo. Arresto in Francia, il pentito Marino non commenta

In manette Pietrostefani, il quarto condannato per l’omicidio Calabresi. Le dichiarazioni del pentito di Lotta Continua furono determinanti per la sentenza

Leonardo Marino ieri sera nel suo chiosco a Bocca di Magra

Leonardo Marino ieri sera nel suo chiosco a Bocca di Magra

Sarzana, 29 aprile 2021 -  Nonostante la giornata uggiosa, Leonardo Marino ieri sera era a Bocca di Magra, al chiosco delle crepes che gestisce con uno dei figli. Nessun commento all’arresto di Giorgio Pietrostefani, che ha vissuto gli ultimi 21 anni in latitanza per l’Italia ma da cittadino libero in Francia, dato che Parigi mai, prima, aveva accolto la richiesta di estradizione. Da ieri, invece, si è chiusa formalmente una delle pagine di quegli anni di piombo che hanno segnato la storia del nostro paese. Pagine che Marino ha contribuito a scrivere, indossando i panni del pentito di Lotta Continua, movimento della sinistra extraparlamentare attivo tra gli anni Sessanta e Settanta. E portando, con le sue dichiarazioni, alla condanna definitiva per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi di se stesso e altri tre compagni: Adriano Sofri, Ovidio Bompressi e, appunto, Giorgio Pietrostefani.  

Militante entusiasta di Lotta Continua al punto da aver chiamato i suoi figli – lo ha raccontato lui stesso – uno Adriano come Sofri e l’altro Giorgio come Pietrostefani, Leonardo Marino si pentì nell’estate del 1988. Originario di Pastorano, a Caserta, cresciuto a Torino, abitava già in Val di Magra e da qua raccontò ai Carabinieri come era andata quel 17 maggio 1972, quando il commissario Calabresi fu ammazzato a pochi passi da casa, mentre stava andando al lavoro nella questura di Milano. "Io guidavo l’auto, a sparare fu Ovidio Bompressi, compagno di Massa – la sintesi della testimonianza di Marino –. I mandanti furono Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani". Perché quella brutale esecuzione? Calabresi veniva ritenuto, negli ambienti di Lc, tra i responsabili della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, precipitato da una finestra della questura di Milano il 15 dicembre 1969. Lo avevano fermato per la strage di piazza Fontana: lui non c’entrava nulla ma la pista del terrorismo nero fu battuta solo successivamente.  

Dopo un lungo iter processuale tra condanne, assoluzioni e annullamenti, la testimonianza di Marino portò nel 1997 alla sentenza definitiva in Cassazione, conferma di quella d’appello del 1995: 22 anni di reclusione a Sofri, Bompressi e Pietrostefani; 11 anni a Marino. L’istanza di revisione del processo viene rigettata nel 2000, momento in cui Pietrostefani, temporaneamente in libertà, lascia l’Italia per non tornare in carcere. Sofri sconta la condanna, fine pena nel 2012; Bompressi ne sconta una parte ottenendo la grazia nel 2006. E Leonardo Marino? Per lui reato prescritto, niente carcere. Ed è al suo chiosco a Bocca di Magra che il collega Carlo Galazzo lo intervista per ’La Nazione’ nel gennaio del 2000, nel giorno del rigetto dell’istanza di revisione che apre le porte del carcere per gli ex compagni di lotta. Parla di Sofri, Bompressi e Pietrostefani. Bompressi, dice, è "un uomo buono. Di lui salverei la sua bontà; Pietrostefani è invece quello che mi ha insultato di meno e mantiene un atteggiamento defilato". Alla domanda ’cosa consiglierebbe ai tre’, risponde: "Di trovare il coraggio per fare quello che ho fatto io. Non li voglio in galera". In quel momento l’unico già tornato in carcere era Sofri, di Pietrostefani e Bompressi si pensava (falsamente, per quest’ultimo) che non si volessero consegnare. E Marino commentò: "Hanno fatto bene ad andarsene, se è vero. Non si può andare in carcere dopo trent’anni".