Storie, immagini e protagonisti incancellabili Il secolo d’oro di Prato è un caleidoscopio

L’8 settembre in regalo con La Nazione il libro che racconta l’ascesa della città. Per ricordarci che il progresso va rincorso ma non subìto

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Alle 18.30 di mercoledì 7 settembre, in anteprima ai festeggiamenti del corteggio storico che è sempre stata la festa di Prato, La Nazione salirà a Giardino Buonamici a salutare la città per la presentazione di ’Prato com’era’, il libro da me firmato che raccoglie storie, immagini e protagonisti del nostro secolo d’oro, in un caleidoscopio arricchito attraverso le foto preziose di Ranfagni, il fotografo che raccontò attraverso il giornale la nostra città per poi passare la mano, ormai da tanti anni, alle foto di Gianni Attalmi. Il libro, pubblicato dal nostro giornale grazie alla preziosa collaborazione di Confindutria Toscana Nord che da subito ha fortemente creduto nell’iniziativa, sarà regalato ai nostri lettori, in allegato a La Nazione di Prato, giovedì 8 settembre. Il ricordo di quei tempi ci potrà aiutare a ripercorrere i paradisi perduti, ma anche a tentare un nuovo corso di una città che ha tutte le risorse ancora per tornare godibile.

Era la Prato che passava dagli angoli raccolti del Canto alle Tre Gore, di Bacchino, di Bailloni, alle nuove strutture cittadine, all’adeguamento della viabilità, ai nuovi ponti; la Prato che trasferiva la politica declamata al popolo dei Luconi e dei Giannini, sinanco dei Silvio Pugi "intelligenza di persona" come lui si appellava per trasferirla ad altre "intelligenze di persona" e alle sedute gremitissime del consiglio comunale; la Prato che ambiva alla provincia e finalmente la realizzava; la Prato che sostituiva il primo sindaco Menichetti, il quale anziché per esteso firmava "per disteso" allungandosi sul divano e a cui succedeva un ragionierino tutto verve e cultura che si chiamava Giovannini; il suono delle sirene, le gore in città, per trasferirsi all’omologazione dei macrolotti; la Prato del consumismo che confondeva il pecorino col caciocavallo e chiamava conigliolo il coniglio, per non togliergli il suono onomatopeico e il sapore. Poi la crescita lavorativa, l’esplorazione dei mercati internazionali, il tema della produttività legato alla fodera umana di Prato, pochi capitali molta fiducia, capaci di produrre in dieci giorni quello che gli altri non riuscivano a fare in tre mesi con una sete di guadagno che a Prato si chiama furbescamente "giusto profitto". Era la Prato della trasformazione industriale, la più rapida di tutte le città, che invogliava l’immigrazione dal sud con quelli di Panni dagli occhi azzurri celebrati da Nicola Longo, poi l’immigrazione da tutta Italia, da tutto il mondo perché tutta in stracci finiva la storia, come scriveva Curzio Malaparte. Prato nel mondo, il mondo a Prato. E mentre fervevano lotte sindacali, il comunismo si annacquava e si sottoscrivevano per primi gli accordi di lavoro fra imprenditori e operai. C’è qualche vagito nuovo di riscoperta della nostra identità antica nel festoso moltiplicarsi di ristorantini e di pub che stanno pullulando nel centro storico, negli angoli ritrovati della cultura come la splendida biblioteca consonante col museo del tessuto, nei percorsi dei riscoperti tesori artistici.

Ma lasciateci rimpiangere i tempi in cui mettevamo la lingua fra i due poli della pila per sentire se era carica; in cui suonavamo i campanelli e scappavamo, facevamo le feste in casa e ci inebriavamo nei lenti, andavamo a scuola da soli e tornavamo da soli, cercavamo i testi delle canzoni su Sorrisi e canzoni e non su YouTube, mettevamo la letterina sotto il piatto dei genitori a Natale, andavamo in due sul motorino e quello dietro metteva la freccia con il braccio, aprivamo la Simmenthal con la chiavetta, facevamo gli esami in quinta elementare con i libri legati con la cinghia. Sempre difficile dire quali sono i mondi migliori. E’ giusto rincorrere il progresso, ma prendendone i vantaggi senza subirne il dominio, che ci toglie il migliori anni della nostra vita.

Roberto Baldi