È sabato sera, squilla il telefono in parrocchia. La lieta novella corre dall’altra parte del filo. "Ce l’abbiamo fatta. Anche l’ultimo ha firmato". E regolarizzazione sia: l’accordo è stato raggiunto alla confezione Lin Weidong e Luca Toscano, il sindacalista del Sudd Cobas, ha più di un motivo per farlo sapere a don Helmut Szeliga, parroco di San Giusto. Anzi, "padre Helmut" come lo hanno chiamato subito i lavoratori pachistani. Per nulla a disagio in mezzo all’abito talare dell’uomo di Chiesa: don Helmut è uno che lotta con loro. Nei giorni del picchetto a Seano, eccolo mobilitare una comunità parrocchiale intera per la preparazione di pasti, per poi caricarli in auto e portarli davanti alla fabbrica. Quella del sacerdote polacco non è solo una mano tesa nel momento del bisogno. È una crepa nel muro dell’indifferenza dove piano piano si fa spazio la lotta. "La menzogna è pensare che tutto vada bene e da questo nasce l’indifferenza che non è un atto esplicito di consenso verso la mafia o lo sfruttamento ma implicitamente lo diventa. Complice è chi non reagisce e questi ragazzi hanno reagito".
Don Helmut, ‘mafia’ è parola che ha il suo peso. Condivide l’allarme del procuratore Tescaroli che nella sua relazione al Ministero ha citato gli episodi di Seano auspicando una sede Dda a Prato?
"Non solo condivido ma mi congratulo con il Procuratore. La questione è seria e non può essere una casualità questa escalation di incendi, aggressioni, intimidazioni. C’è una dinamica ben precisa di fronte al susseguirsi di questi episodi. La vicenda di Seano mi ha portato a confrontarmi spesso con il sindacalista Luca Toscano e sulle modalità di sciopero di questi "ragazzi", come chiamo io questi lavoratori coraggiosi".
Cosa spinge un parroco di periferia a occuparsi anche di lotta sindacale?
"La ricerca della verità. Quella dei Sudd Cobas non è una protesta generica: alla base c’è il rifiuto di vivere nella menzogna, quella che sfocia nell’indifferenza. Ci sono dei precedenti nella Storia".
Si riferisce a un avvenimento particolare?
"Penso agli attivisti di Solidarnosc in Polonia, alla Primavera di Praga. Questi lavoratori pachistani sono molto motivati".
Lei è sempre stato sensibile ai temi dell’integrazione: dal 2019 i locali parrocchiali ospitano un’associazione culturale cinese che organizza corsi per bambini. Non teme il rischio di una radicalizzazione dello scontro in chiave etnica? Da una parte i ‘padroni’ cinesi che sfruttano, dall’altra i pachistani sfruttati fino all’osso…
"No, la questione non è fare un processo alla comunità cinese ma alla criminalità e alle mafie. È chiaro che c’è una parte sana nella comunità orientale…".
E i pratesi?
"Questi scioperi ne hanno scosso le coscienze. Nel mio piccolo, ho provato a metterci del mio".
Come?
"Negli avvisi parrocchiali aggiornavo la comunità sull’evoluzione della situazione a Seano. Capitava e capita spesso, a fine messa, di parlare della condizione degli operai in sciopero. Prima si usciva dalla chiesa e si parlava magari di una persona del quartiere che non stava bene, ora si parla degli ‘invisibili’ nelle fabbriche".
Cosa dicono i parrocchiani?
"Don Helmut, non va bene che Prato sia identificata con questo sistema di schiavitù…"
Come l’hanno accolta i pachistani?
"Ero titubante e mi sono avvicinato a loro con discrezione. Ma mi hanno subito chiamato "padre", mi hanno accolto come un fratello. Giustizia e diritti oltre le appartenenze religiose" - E ora cosa farà?
"In questi giorni sono passato da loro. Mi piacerebbe poter essere utile, non solo operativo".
Maria Lardara