Tra virus e catastrofi, verso il futuro: "Prospettive credibili o sarà il collasso"

Il nuovo libro "Il mondo che avrete" - che sarà presentato al Bolognini mercoledì 21 ottobre - si interroga sulla condizione della società grazie al contributo di tre antropologi. Una riflessione con il professor Francesco Remotti

Il professor Francesco Remotti

Il professor Francesco Remotti

Pistoia, 17 ottobre 2020 - Quella macchina inarrestabile che va a braccetto con l’economia, lo sviluppo, improvvisamente ha vissuto uno stop. E la società - e con lei la cultura - si è di colpo mostrata fragile, mettendo a nudo un fatto: svilupparsi è sì crescere, ma insieme è anche un po’ morire. Perché se non si fissa con urgenza un concetto di limite, se non si mettono a punto delle prospettive credibili, quel che oggi si chiama pandemia finirà per trasformarsi in catastrofe irreversibile. C’è una riflessione quanto mai ricamata sull’epoca attuale ne “Il mondo che avrete-Virus, Antropocene, rivoluzione” (Utet), il libro a marchio ‘Dialoghi sull’uomo’ scritto a “tre teste” (Marco Aime, Adriano Favole, Francesco Remotti) che sarà presentato mercoledì (ore 18.30; prenotazione obbligatoria allo 0573.974267) al teatro Bolognini. Un testo che s’interroga su un futuro neanche troppo lontano, indagando su compiti e responsabilità da attribuire a uomini, società e cultura.

Professor Remotti, qui incombe un chiaro ultimatum: ‘non c’è più tempo’. Quanto siamo vicini al punto di non ritorno? “Se ci rivolgiamo a coloro che studiano i cambiamenti climatici, anche invocando il miracolo e mettendoci da subito a lavorare per porre fine al disastro non faremmo neppure in tempo a smaltire quanto già immesso in atmosfera finora. Ciò significa che la condizione attuale va accettata per quella che è: gli effetti disastrosi sono già iniziati. L’unica cosa da fare ora è chiedersi ‘cosa si può fare per parare i colpi che provengono da questa situazione disastrosa?’. Questo è l’unico approccio possibile, solo che... chi comincia per primo a chiederselo?”.

Il lockdown già trascorso e lo spettro di un nuovo blocco che ripercussioni potranno avere sulle relazioni, sulla socialità? “Il lockdown ha effetti deleteri sul piano della normale socialità umana, quella socialità cioè cui l’essere umano è abituato, da cui trae gratificazioni. Il lockdown costringe gli esseri umani in contesti che sono o quelli della solitudine o quelli di una famiglia. La famiglia è rifugio e sostegno, ma non c’è nessuna società che si affidi soltanto ad essa. Tutte anzi premono affinché dalla famiglia si esca. Ecco che tutte le misure di lockdown ledono la componente sociale, quella oltre la famiglia. Qui si tratta di misurare la dimensione temporale del lockdown, ma brevi o lunghe che siano queste dimensioni comportano comunque vere e proprie lesioni. Nelle società, nelle comunità e nelle persone”.

Lei accenna al concetto di ‘catastrofi pedagogiche’, tanti sostengono che questa pandemia potrà renderci migliori. Quanto c’è di vero in questo? “Siamo presi dal tran tran quotidiano e questo crea una specie di accecamento. Poi ecco che le catastrofi, eventi da noi non voluti né previsti, spezzano questo tran tran ponendoci di fronte a problematiche che prima non eravamo abituati a vedere. Si verifica uno scossone, una crisi. Di qui a dire che ne verremo fuori meglio ce ne corre. Dipenderà da come vivremo la catastrofe, da quali atteggiamenti assumeremo dopo di essa, dalla cultura di cui disponiamo o che sviluppiamo in concomitanza con la catastrofe. Chiediamoci dunque: quali saranno le prospettive che politicamente potranno essere proposte? Quali di queste saranno credibili? Difficile fare delle previsioni, possiamo solo dire che se non ci prepareremo in modo molto serio ci troveremo di fronte a una situazione drammatica”.

Parlando di furto di futuro, che può fare la scuola per invertire la tendenza? “Forse è il caso di ripensare i programmi scolastici, sviluppare una cultura che coltivi lo sguardo al futuro. La storia è sì maestra di vita, ma la componente futuro è così problematica che non possiamo mettere una maschera sugli occhi ai giovani e impedire loro di guardare in quella direzione. Dobbiamo fornire degli strumenti per vedere il futuro. E dobbiamo farlo adesso”.

Che tipo di contributo può dare l’antropologia in questo contesto? “L’antropologia è uno dei saperi che viene messo fortemente in crisi dalla situazione oggi, ma quel che sostengo è che il sapere antropologico è un sapere che ha dei depositi, dei magazzini dove sono depositate le testimonianze di molti tipi di società. Dovere dell’antropologo è riprendere in mano queste cose perché possono ancora insegnarci qualcosa, soprattutto, in termini di convivenza con la natura”.