Migliaia di telefonate intercettate "Così veniva drogata l’economia"

Fallimenti delle aziende pilotati per poi ricostruirne altre. L’indagine richiese tre anni di accertamenti per sviscerare un decennio di attività illecite. I carabinieri lavorarono in sinergia con la guardia di finanza

Furono oltre quarantamila, una media di trecento al giorno, le telefonate intercettate dagli inquirenti nei tre anni di indagini, dal 2015 al maggio del 2018, che sviscerarono dieci anni di attività illecite. Fu una doppia indagine, addirittura, che si era intrecciata fino a produrre ventisette misure cautelari, con numero spropositato di indagati, emesse per un reato che mina alla base l’economia di un territorio: pilotare i fallimenti delle aziende per poi ricostruirne altre, investendo anche denaro di provenienza illecita.

I sequestri preventivi mirati alla confisca riguardarono all’epoca otto aziende con sedi nei comuni di Pistoia, Buggiano, e Montelupo Fiorentino, nei settori del movimento terra, edilizia, vednita di tabacchi. L’ipotesi era l’associazione per delinquere finalizzata all’intestazione fittizia di beni, autoriciclaggio, bancarotta fraudolenta, usura, estorsione, assunzioni fittizie, finalizzate alla truffe in danno dello Stato, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, evasione d’imposta e false fatturazioni.

L’indagine fu il frutto di una sinergia che vide affiancati l’Arma e le Fiamme Gialle, carabinieri e guardia di finanza, che furono diretti dai sostituti procuratore Claudio Curreli e dal sostituto Fabio Di Vizio (ora a Firenze).

I due filoni di indagine ebbero, come di consueto, i loro nomi: "Pluribus" (fallimenti pilotati) e "Amici nostri" (intestazioni fittizie dei beni).

Tutto era cominciato in maniera piuttosto classica, da una "soffiata", ovvero da una informazione confidenziale raccolta dall’Arma: "In quello studio commerciale si gestiscono le operazioni per pilotare i fallimenti".

Furono tre i professionisti circoscritti dagli inquirenti: Ignazio Ferrante, Vincenzo Fera e Alberto Breschi, che sono tutti difesi dall’avvocato Giusepep Roscitano del foro di Pistoia (Breschi insieme alla collega Antonella Tripodi del foro di Firenze).

Sarebbero stati loro, così spiegarono gli investigatori nell’illustrare, all’epoca, la doppia indagine, a dar vita al sodalizio attraverso il quale si decidevano le sorti delle aziende.

A quel punto ci fu l’indispensabile coinvolgimento della Guardia di Finanzia.

Ma fondamentali furono le intercettazioni: fu da quelle che gli inquirenti compresero cosa veniva deciso e i ruoli degli indagati.

"Così – spiegò il sostituto procuratore Claudio Curreli – veniva drogata l’economia. Creando aziende che vivevano per realizzare profitti senza pagare le tasse". Al lavoro c’erano la sezione di polizia giudiziaria della Guardia di Finanza, e il Nucleo di polizia economica e finanziaria del Comando provinciale, con i carabinieri del Reparto Operativo.

lucia agati