Pistoia, addio alla bottega storica del vino. L’ultimo enologo lascia dopo 60 anni

Giampiero Picchi ha 84 anni e nessuno rileva il laboratorio di via Crispi

Giampiero Picchi con i suoi alambicchi (Luca Castellani)

Giampiero Picchi con i suoi alambicchi (Luca Castellani)

Pistoia, 23 giugno 2018 - Pochi giorni ancora e poi porterà a casa gli ultimi alambicchi, parola che sa di mistero e di magia, ma che per lui ha rappresentato, per sessant’anni, la sapienza, il saper fare. Fra pochi giorni la serranda di via Crispi si abbasserà per sempre e Pistoia, ancora una volta, perderà un suo pezzo di storia.

E che storia. Giampiero Picchi chiude il suo laboratorio di enologia dove ha analizzato, e «curato», per tanti anni, i vini delle campagne pistoiesi e non solo, meritando premi, riconoscimenti e il titolo di Cavaliere della Repubblica. Meritando soprattutto il sigillo di «Bottega storica» destinato, dal 30 giugno, a scomparire.

Per Giampiero, che da qualche giorno sta chiudendo le scatole con le sue attrezzature, è un’amarezza appena stemperata dal sorriso con cui si mette in posa per le foto, le ultime, nel suo piccolo regno del vino. Dopo il diploma come perito agrario, a Firenze, le sue eccellenti capacità in chimica gli consentirono di entrare nel laboratorio di analisi del vino, in via Giusti. Il suo compito era di analizzare il vino che poi veniva esportato in tutto il mondo. «Accanto – racconta Picchi – c’era il laboratorio zimotecnico italiano, dove si effettuavano analisi e produzioni di fermenti selezionati.

Questo fino al 1958, quando mi sono trasferito a Pistoia a dirigere questo laboratorio che poi ho rilevato, diventando così il proprietario e l’analista». Giampiero non è soltanto un mago degli alambicchi, è la memoria storica di un tempo che non tornerà più.

«In quegli anni – racconta – i contadini mi portavano il vino della vendemmia che io analizzavo e poi ‘curavo’ con l’aumento della gradazione. Si rivolgevano a me i fattori e i proprietari del circondario. Ma c’era anche chi arrivava da più lontano: da Roma, dalla Calabria, dalla Sicilia. Erano le persone che trascorrevano le vacanze a Montecatini e poi venivano a sapere del mio laboratorio».

Un vero indotto prodotto dal turismo termale. E poi c’erano i mediatori.

«Dopo il contadino arrivava il mediatore. Erano dodici quelli che venivano da me. Acquistavano il vino a cisterne facendo il giro dei poderi pistoiesi. Portavano due campioni: uno per l’acquirente e l’altro per il contadino, che poi veniva pagato in base alla gradazione. Negli anni ’60 e ’70 un podere poteva produrre fino a cento quintali. Ma oggi il vino della piana è estinto. Non si vende, le leggi sono massacranti e gli ambienti non possono più essere quelli di un tempo. I piccoli contadini hanno rinunciato e hanno disfatto le vigne. Oggi vengono da me con il vino per casa, qualche damigiana. E io le analisi ormai le faccio gratis, sono amici, non più clienti. E chi non fa più il vino si ferma a ricordare i tempi passati».

Quello che resta dei suoi preziosi strumenti lo porterà a casa, per ricordo. «La maggior parte – spiega Giampiero – li ho regalati al museo del vino di Firenze».