Cavicchio, il re del Giardino Zoologico "La mia missione? Sconfiggere l’estinzione"

Sono tornati i turisti, italiani e stranieri, e tutti partecipano ai progetti in nome della biodiversità dopo gli anni bui della pandemia

Lucia

Agati

Può capitare, in questi giorni, di vedere il direttore del Giardino Zoologico di Pistoia, Paolo Cavicchio, aggirarsi lungo i viali alla ricerca di...foglie. Servono per le sue “ragazze“: centomila formiche tagliafoglie a cui sta dedicando tutta la sua attenzione. E se la meritano. Da cinquanta milioni di anni allevano un fungo per nutrirne un altro. Una strabiliante organizzazione con a capo una regina. Paolo Cavicchio, medico veterinario, è nato a Pistoia il 14 giugno del 1966 e dirige il Giardino dal 1993. Gli animali sono tutta la sua vita. Ma anche le piante. Si è laureato a Pisa e i tirocini li ha svolti in Germania. Oggi, difendere la biodiversità è l’imperativo suo e degli esperti e delle esperte che lo affiancano, ma è una missione febbrile che riguarda tutti. Paolo custodisce un patrimonio che gli è stato consegnato dal padre Gianfranco e prima ancora dal nonno, Raffaello Galardini. Il Giardino Zoologico di Pistoia si sta riprendendo da due anni molto duri ma guarda costantemente al futuro.

Come sono stati gli anni dell’emergenza sanitaria?

"Due anni difficilissimi e ora ci rincuora il ritorno dei turisti. Stanno arrivando sia gli stranieri che gli italiani. Il primo lockdown è stato molto duro, il secondo, più lungo, ma avevamo preso le misure e lo abbiamo affrontato con un po’ più di fiducia. Un’esperienza che sarà difficile raccontare ai nostri nipoti. Le nostre giornate, in fondo, erano belle pensando a chi era chiuso in casa. Ci sentivamo quasi dei privilegiati, potevamo stare all’aria aperta, nel parco".

Ricorda un momento in particolare?

"Il primo lunedì di Pasqua che siamo rimasti chiusi c’erano i bambini al cancello che ci chiedevano perchè non potevano entrare. Ma non era possibile nemmeno una passeggiata. Anche agli animali sono mancate le voci dei bambini".

Come avete affrontato le spese?

"Per fortuna ce l’abbiamo fatta, anche grazie al grande sostegno che abbiamo ricevuto. E’ una economia complessa quella di chi vive al pubblico, era necessario contenere le spese, noi non potevamo spegnere le luci come un museo. Per fronteggiarle abbiamo dovuto accendere un mutuo che oggi paghiamo grazie ai nostri visitatori. Senza dimenticare gli altri problemi che riguardano tutti: la guerra, l’inflazione, l’esplosione dei costi dell’energia. Ce le ricordiamo bene le domeniche a piedi dei primi anni Settanta. Un altro aspetto fondamentale, che ci ha consentito di non perdere la fiducia, è stato il costante contatto internazionale con gli altri parchi importanti, un sostegno che fa ben sperare".

Ora è il momento di guardare avanti...

"Il primo obiettivo: rinforzare la vita all’aria aperta in un contesto naturalistico e affrontare le sfide del cambiamento climatico, specializzandosi sugli animali che hanno bisogno di noi e che rischiano l’estinzione nei paesi in cui vivono. Le richieste di aiuto sono sempre di più. Stiamo perdendo molte specie. E’ il momento di condividere questa urgenza sul verde e sugli animali. E’ il momento di invertire la rotta, la parola d’ordine è “Reverse the red“: invertire il rosso. La linea rossa rappresenta la lista degli animali in estinzione, e si allunga ogni anno. La popolazione dei pinguini africani si è dimezzata in venti anni. Occorrono tanti soldi ed energia per contare questi animali in natura".

Qual è il traguardo da raggiungere?

"Bisogna evitare che vadano su quella lista che certifica la nostra sconfitta, anche attraverso alleanze internazionali, e portarla verso il verde. Questo può avvenire anche attraverso lo sforzo congiunto di tanti Giardini. Cerchiamo di vedere se una specie a rischio può tornare a crescere anche con il nostro piccolo contributo. I nostri visitatori in questo ci aiutano moltissimo, anche con il sistema di adozione di una specie".

Qualche esempio?

"Concentriamo i nostri sforzi per i panda in Nepal e per i gibboni: ne sono rimaste poche decine in una piccola foresta tra la Cambogia e il Vietnam, serve un’azione per conservarli laggiù. Tutti i fondi che riceviamo li dedichiamo a una società di conservazione che opera là. Abbiamo ancora qualche anno di tempo. La biodiversità è un bene comune e importantissimo. Oggi le persone si sentono partecipi di un’azione importante. Ci sono equilibri che abbiamo alterato in modo irreversibile, cerchiamo di fare qualcosa".

Una buona notizia?

"Il cavallo di Przewalski: era estinto in natura. Gli ultimi venti esemplari furono portati in Europa all’inizio del Novecento. Sono tornati in Mongolia, da dove venivano. Noi abbiamo partecipato al progetto".