"Salvini arretra, ma non è detto che la svolta centrista possa funzionare"

Parla il politologo Marco Tarchi

Pecore elettriche

Pecore elettriche

Roma, 22 settembre 2021 - Marco Tarchi, politologo dell’Università di Firenze, sta finendo la stagione del sovranismo nel centrodestra o è solo il wishful thinking del Pd? “Non è solo il Pd a desiderarlo, ma anche molti nel centrodestra, più preoccupati di rimanere al governo oggi che a vincere le elezioni nel 2023. Ho molti dubbi sul successo di questa svolta moderata e centrista presso l’elettorato. Potrà risultare vincente soltanto se gli effetti economico-sociali del periodo emergenziale e del deficit accumulato per tappare la falla saranno differiti nel tempo oltre la data delle prossime amministrative. In ogni caso, l’arretramento di Salvini è evidente”. Ritiene possibile che Giancarlo Giorgetti assuma sempre più peso nella Lega o c’è un gioco delle parti fra lui e Salvini? “Non mi sembra che sia un gioco delle parti. Fin dalla crisi del governo giallo-verde mi è sembrato evidente che Giorgetti forzasse la mano a Salvini, per conto degli ambienti economici che lo hanno come interlocutore privilegiato, con l’obiettivo di “normalizzare” il partito, cancellandone i connotati populisti e di protesta – che peraltro lo caratterizzano da trentacinque anni – per farne l’ala liberale della coalizione a scapito di Forza Italia. Anche a costo di perdere, come è accaduto, la metà dei consensi ottenuti alle europee del 2019. Un gioco a perdere estremamente rischioso, di fronte al quale Salvini sta mostrando la sua debolezza, preso a tenaglie fra il suo vice e gli amministratori del potere locale. L’indifferenza che ha sempre dimostrato nei confronti del problema dell’organizzazione del partito gli si ritorce contro. E non è da escludere che aumentino le defezioni e i ritiri nel privato di dirigenti locali e militanti di base”. Il centrodestra rischia di perdere le amministrative? Ha un problema di classe dirigente, visto che si è rivolto alla società civile in tutte le città al voto? “Nelle grandi città, è probabile che subisca una sconfitta piuttosto netta. Non solo non ha una classe dirigente all’altezza, ma ha trascurato – con la limitata esclusione di Fratelli d’Italia in alcune zone – una presenza organizzata sul territorio, affidandosi soltanto al contatto con alcuni (e no fra i più rilevanti) gruppi d’interesse e alla presenza sui media, dalla tv ai social. Strumenti che sono del tutto insufficienti a sconfiggere la rete degli interessi organizzati e il potere mediatico di cui dispongono i suoi avversari”. Vede un effetto Draghi sulla disarticolazione della coalizione di centrodestra? “Certamente, e sin dall’inizio. Senza una chiara identificazione di un “nemico”, non si vincono né guerre né battaglie. E anche gli alleati devono essere fidati. Nel caso in questione, Draghi ha un peso specifico troppo forte per accettare di lasciarsi condizionare, e una capacità di attrazione che può raggiungere molti esponenti della coalizione, come sta avvenendo. Alla lunga, può essere un fattore cruciale di incrinatura della coalizione”.