"I miei vent'anni al tempo del Covid". Lettera di Giovanni, studente

Ci scrive Giovanni, 20 anni, sugli effetti dell'emergenza sanitaria. Le ansie, la paura di fare male ai propri cari, il tempo che fugge: "La mascherina ci ha coperto il volto e pian piano al fastidio si è sostituito un senso di sollievo nel nascondere imperfezioni e difetti che adesso vanno accettati daccapo, e non penso solo a me ma ai tanti ragazzi e ragazze che con fatica dovranno riadattarsi alla nudità del loro volto in pubblico"

Pecore elettriche

Pecore elettriche

Firenze, 10 febbraio 2022 -  Le Pecore Elettriche hanno ricevuto una lettera da Giovanni Frosali, 20 anni, sugli effetti di due lunghissimi e intensi anni di pandemia. Le paure, il tempo che fugge, l'ansia per il futuro. Le parole di Giovanni sono profonde e meritano una attenta lettura. Eccole.

Care Pecore Elettriche, come cambiano le cose della vita. A partire da gennaio duemilaventi ho assistito al crollo di quelle che consideravo le colonne portanti della mia vita giovanile. Il contatto, l’amore di tutti i giorni, le zingarate del sabato sera e quel senso di serenità che contraddistingue l’essere ventenne. Si sono col tempo insediate situazioni impensabili come la paura di cagionare ai nonni il male ingiusto della malattia, della morte.

Il faccia a faccia con la morte spaventa sempre. I morti di covid, conteggiati nei drammatici bollettini giornalieri, non sono mai stati chiamati per nome e questo li ha trasformati alla stregua di semplici numeri. Da studente non posso negare che il passaggio alla didattica a distanza sia stato piuttosto disastroso. Ha aperto le porte al sonnambulismo, ha affossato l’interesse e ha accentuato la paura che credo di condividere con tanti altri giovani, quella del futuro, al cui cospetto talvolta mi sento goccia di un’onda che avanza senza meta. Ciò che mi spaventa sono gli effetti che la pandemia sta portando e porterà. Le risse accendono le piazze, l’alcool ha conquistato gran parte di noi e l’indifferenza è divenuta prerogativa della vita.

La mascherina ci ha coperto il volto e pian piano al fastidio si è sostituito un senso di sollievo nel nascondere imperfezioni e difetti che adesso vanno accettati daccapo, e non penso solo a me ma ai tanti ragazzi e ragazze che con fatica dovranno riadattarsi alla nudità del loro volto in pubblico.

Il lockdown mi ha precluso di vedere posti, di incontrare persone che avrebbero potuto cambiare le mie prospettive, mi ha costretto in una stanza, dove ho imparato ad attendere la sera senza aspettative per il giorno dopo, uguale al precedente. Ma col tempo ci si abitua un po’ a tutto, ci si adatta. Insieme ai miei amici - ai quali devo molto - nel rispetto delle regole previste, abbiamo riscoperto il valore delle piccole cose. Il valore di una partita a poker o semplicemente di una chiacchierata “in presenza” che niente ha a che vedere con le videochiamate di gruppo che non hanno altra funzione se non quella di rimbambire. I social network per quanto mi riguarda hanno avuto la funzione di mezzo di contatto col mondo circostante, ma anche quella di una pericolosa distrazione alla quale non è stato facile rinunciare. C’è stato un momento in cui ho provato vergogna nel leggere il tempo di permanenza su ognuno di questi. Ore e ore che avrei potuto impiegare in maniera sicuramente più costruttiva. È innegabile che la pandemia, oltre ai danni evidenti, abbia innescato meccanismi dannosi con i quali un giorno dovremo fare i conti.

Il tempo scorre e da qualche parte attraccheremo, spaventati da un mondo criptico, in cui il futuro non è altro che un miraggio lontano e sfuocato. Ma sono certo che ritorneremo alla normalità, che è circoscritta entro i bordi delle libertà che la scienza ci restituirà, come dono per il giusto sacrificio speso da ognuno, o quasi, di noi.

Giovanni Frosali, 20 anni