Uccise il padre e bruciò il corpo, assolto dalla Corte d’Assise: "Incapace di intendere e di volere"

I giudici hanno disposto per Simone Matteoni quindici anni di osservazione nella Rems. Dopo le perizie concordanti di tre psichiatri anche il pm Curreli aveva chiesto l’assoluzione

Un'aula di tribunale (foto Ansa)

Un'aula di tribunale (foto Ansa)

Buggiano (Pistoia), 11 aprile 2024 – Dopo tre ore di camera di consiglio, la Corte d’Assise ha pronunciato ieri la sentenza con cui è stato assolto, per incapacità di intendere e di volere al momento del fatto, Simone Matteoni, 30 anni, che uccise il padre Massimiliano a coltellate per poi incendiarne il corpo nel tentativo di distruggerlo.

La Corte ha quindi disposto per Matteoni 15 anni di osservazione nella Rems (residenza per l’esecuzione di misure di pubblica sicurezza) vista la sua attuale pericolosità sociale. Una condizione che sarà rivalutata nel tempo. Anche il pubblico ministero Claudio Curreli, che aveva diretto le indagini dei carabinieri su questa tragedia, aveva chiesto l’assoluzione per incapacità di intendere e di volere. Una richiesta a cui si erano associati alcuni legali di parte civile e cioè gli avvocati Fausto Malucchi e Lorenzo Santini del foro di Pistoia che rappresentavano gli altri figli di Massimiliano. Mentre l’avvocato Alessio Spadoni del foro di Pisa, che rappresentava l’attuale compagna di vita di Massimiliano e i figli di lei come famiglia di fatto all’epoca della tragedia, aveva chiesto la condanna dell’imputato, difeso dall’avvocato Manuela Motta di Pistoia.

"Quanto al risarcimento – ci ha spiegato ieri l’avvocato Malucchi – la nostra richiesta era del tutto simbolica, un euro per potersi costituire parte civile, ma a noi interessavano soltanto verità e giustizia. Non abbiamo presentato memorie scritte, il che equivale a una remissione della costituzione di parte civile".

Un processo, quello che si è concluso ieri in aula bunker, in cui le perizie hanno avuto un ruolo determinante. I tre psichiatri incaricati avevano illustrato il caso nella precedente udienza e tutti e tre i professionisti avevano concluso per l’incapacità di intendere e di volere dell’imputato al momento del fatto. Una conclusione che aveva portato alla rinuncia, da parte del pm, alla richiesta di una perizia d’ufficio. A parlare davanti alla presidente Silvia Cipriani, al giudice relatore Silvia Isidori e ai giudici popolari, erano stati, come si ricorderà, il professor Rolando Paterniti di Firenze, consulente del pm, il professor Massimo Marchi, che era stato nominato dal gup del tribunale di Pistoia e il professor Pietro Pietrini, consulente della difesa. Gli psichiatri avevano inquadrato la tragedia alla luce della malattia mentale che afflige l’imputato a cui, come avevamo già riportato, era stato diagnosticato un disturbo di tipo schizofrenico da cui era derivata l’ossessione per la figura paterna, fino a volerla annientare.

l.a.