"Le 'mie' prigioni", in un libro il carcere visto da dentro

Il volume di Alessandra Brenzini. Presentazione a Poveromo

L'autrice seduta ai tavolini del bagno Myricae

L'autrice seduta ai tavolini del bagno Myricae

Massa, 21 luglio 2021- Le “mie” prigioni. È questo il titolo del libro che verrà presentato domani giovedì 22 alle 18.00 presso il Bagno Myricae di Poveromo, una raccolta di racconti sulle esperienze vissute dall’autrice Alessandra Brenzini all’interno della casa di reclusione di Massa, dove lavora come docente con il CPIA (centro provinciale istruzione adulti). Il libro, edito da Aletti Editore già nel 2019 ma mai presentato a causa dello scoppio della pandemia, verrà spiegato e raccontato dall’autrice stessa negli spazi dello stabilimento balneare Myricae, dove sarà possibile anche gustare qualcosa per accompagnare la presentazione, che sarà ad ingresso libero. “Questo testo nasce dalla mia esperienza di insegnate in carcere -commenta Alessandra Brenzini- che ho iniziato a mettere nero su bianco sotto la spinta di mia figlia, affascinata dalle storie che raccontavo in casa su ciò che succedeva nella scuola, un ambiente assai particolare.” Lo scopo di -Le “mie” prigioni- (non a caso il titolo ispirato all’opera di Pellico) è quello di raccontare la vita di chi vive il carcere a coloro che la giudicano fuori: “le persone in detenzione quando si trovano di fronte ad un banco diventano alunni al 100%: c’è chi ha paura dell’esame, chi della geografia, chi della matematica, e quando arriva il giorno dell’esame si trasformano in persone diverse con vestiti perfetti e stirati, barba ed acconciatura fatta, subiscono una metamorfosi” racconta l’autrice. “Loro sono esseri umani nonostante ciò che possono aver fatto, poiché “l’uomo non è il suo errore”, massima secondo cui noi viviamo in carcere -chiosa infine Alessandra Brenzinzi- chiunque può finire dentro per migliaia di motivi a lui esterni; lì dentro infatti ci sono persone umane, altri noi stessi che non hanno potuto sfruttate le nostre stesse possibilità.”

Gabriele Ratti