Interdittiva antimafia. Ricorso respinto dal Tar

A presentarlo un’azienda apuana nel commercio di materiali da costruzione. I giudici amministrativi hanno confermato le indagini degli investigatori.

Un filo che lega la provincia apuana con la Liguria e Reggio Emilia per poi allungarsi fino alla cosca Grande Aracri di Cutro e alla criminalità organizzata di stampo mafioso, o meglio alla ‘ndrangheta. Ed è seguendo queste tracce, ripercorse dagli inquirenti e dalla Prefettura, che i giudici amministrativi del Tar di Firenze hanno smontato il ricorso presentato da una ditta attiva nel settore del commercio all’ingrosso di materiali da costruzione contro l’interdittiva antimafia emessa a suo carico. Un provvedimento emesso ‘a cascata’, per i legami societari e familiari nella gestione di quest’azienda come di altre, anch’esse in passato oggetto di altre interdittive antimafia mai ritirate o ritenute illegittime.

I giudici amministrativi hanno preso in esame tutti gli atti, le indagini, il parere del Gruppo Interforze, i legami che attraversano regioni e famiglie, e hanno stabilito che "appaiono dunque sufficienti, secondo la sopra illustrata logica del ‘più probabile che non’ a denotare il rischio di condizionamento dell’attività della società da parte dei genitori dell’attuale amministratore unico, i quali sono stati precedentemente interessati (direttamente la madre, indirettamente e di riflesso il padre), nella titolarità o nella gestione di altre società operanti nel medesimo settore economico, da provvedimenti interdittivi antimafia (non opposti o invero considerati legittimi con sentenza passata in giudicato)".

Il centro delle indagini e dell’interdittiva sta proprio nei rapporti familiari e societari: le quote societarie della società, attiva nel commercio all’ingrosso di materiali da costruzione, passano nel 2019 dalla madre al figlio. Nel 2021 quest’ultimo la sostituisce anche nel ruolo di amministratore unico. La ricostruzione effettuata dai giudici sugli atti della Prefettura arriva a conclusioni ben diverse. La madre, rimarcano, era già stata amministratrice unica di un’altra società attiva nel medesimo settore di frantumazione e trasporto di materiali inerti già attinta da interdittiva antimafia, del Prefetto di La Spezia, mai impugnata con pericolo determinato "da una colleganza intrinseca" con una famiglia "in un contesto strettamente riconducibile all’organizzazione mafiosa denominata ‘ndrangheta".

E, ricostruiscono i giudici, "l’intento elusivo della normativa antimafia si può evincere chiaramente dal fatto che la signora, poco dopo aver ricevuto l’interdittiva emessa dalla Prefettura di La Spezia a carico della società, ha ceduto le proprie quote nella società al figlio all’epoca ventitreenne, pur mantenendosi il ruolo di amministratore unico di quest’ultima società fino al maggio del 2021(il che vale quale ulteriore indizio della continuità nella gestione)". Per i giudici la Prefettura ha applicato con precisione i principi sanciti per le interdittive ‘a cascata’ per l’instaurazione di rapporti commerciali o associativi con società già esposte al rischio di influenza criminale ed evitare il ‘contagio’.

La stessa madre in passato aveva fondato con il marito un’altra società, nello stesso settore, di nuovo attinta da provvedimenti interdittivi antimafia delle Prefetture di Reggio Emilia e di La Spezia in cui si evince che "dal complesso delle articolate informazioni acquisite dalle forze di polizia ... risulta documentata la contiguità con ambienti criminali della famiglia per via dei vincoli di parentela e di relazioni con personaggi della cosca Grande Aracri di Cutro e con altri soggetti riconducibili alla criminalità organizzata di stampo mafioso". Provvedimenti adottati, non impugnati né ritenuti illegittimi, nei confronti di società facenti capo ai genitori dell’attuale titolare della società in causa "smentiscano l’asserita assenza di qualsivoglia rapporto tra il nucleo familiare cui appartiene e il resto della più estesa famiglia".

Fra.Sco.