Cave chiuse, il Tar respinge lo stop totale

Anche la sentenza su Canalgrande conferma l’illegittimità delle sanzioni del Comune

Un cavatore. L’ultima sentenza del Tar ha confermato l’illegittimità delle chiusure totali

Un cavatore. L’ultima sentenza del Tar ha confermato l’illegittimità delle chiusure totali

Carrara, 25 aprile 2019 - «La chiusura delle cave è illegittima: le aziende possono richiedere il risarcimento danni». Così il Tar per l’ennesima volta si pronuncia sulla chiusura delle cave per sforamento dell’escavazione rispetto ai piani di coltivazione. Nell’ultima ordinanza che riguarda il ricorso di Canalgrande, il Tar ha ribadito concetti ormai arcinoti: la sospensione dell’attività deve interessare soltanto l’area difforme, il volume dei mille metri dovrà essere riconsiderato con altri criteri, per cui rinvia l’argomento alla Corte costituzionale, e le aziende possono accedere ai risarcimenti.

Da qui la viva reazione di Assindustria che in una nota scrive: «Le controversie nascono dalle sanzioni applicate dopo lo scorso luglio. Nei ricorsi si è contestato il limite generalizzato di 1000 metri cubi oltre il quale scatta la decadenza dall’autorizzazione e dalla concessione e la sospensione totale dell’autorizzazione. Il Comune e la Regione hanno difeso il limite di mille metri cubi, come adeguato e ammissibile, e la correttezza della sospensione totale dell’autorizzazione, con il fermo della cava, difeso come deterrente rispetto a deviazioni dal progetto.

Il Tar ha ritenuto che: la sospensione totale dell’autorizzazione è illegittima e contraria alla corretta interpretazione de 58 bis. I provvedimenti di sospensione totale sono illegittimi, dovendo la sospensione essere limitata all’area di difformità. A ciò consegue che le aziende che hanno subito una sospensione totale possono richiedere il risarcimento del danno. Sui mille metri cubi il Tar ha previsto che per ragioni di sicurezza dovrebbero essere stabilite tolleranze diverse e ha rigirato tutto alla Corte Costituzionale. Appare quindi evidente che l’apparato sanzionatorio attuale, difeso da Regione e Comune, è stato per buona parte smantellato dal Tar, che ha accolto su due punti le nostre eccezioni. È ben percepibile la differenza tra una sospensione parziale limitata alla zona della variante, e la sospensione totale con cessazione di ogni attività adottata dal Comune con l’avallo della Regione.

Si tratta di situazioni non comparabili e la sospensione totale, aspramente contestata dalle aziende, costituiva un provvedimento letale e sproporzionato. Confindustria accoglie favorevolmente la decisione, che impone di rivedere tutto il sistema sanzionatorio, calibrandolo in modo più ragionevole e proporzionale a seconda delle diverse realtà produttive.

Il Tar non ha condiviso l’interpretazione del Comune difesa dal sindaco nella lettera del 31 luglio che consentiva varianti compensative in sanatoria. Confindustria prende atto della decisione, che sarà valutata in appello dal Consiglio di Stato, precisando che le varianti in sanatoria venivano concesse solo previa valutazione di mancanza di danno ambientale, paesaggistico e di sicurezza e solo in presenza di variazioni nei complessi estrattivi autorizzati.

Alla luce dei complessi accertamenti da parte degli organismi preposti, che potevano concludersi con esito positivo come negativo, la sanatoria veniva concessa quando non si era verificato alcun pregiudizio ambientale e alla sicurezza e non certo in presenza di eventuali escavazioni irrazionali».