"Silvia uccisa con una violenza inaudita"

Stefanini sarà di nuovo ascoltato dal giudice nei prossimi giorni. Il legale: "Non ricorda quei momenti. Solo il litigio prima"

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Uccisa senza un perché. Con una violenza inaudita. Il dolore per la perdita di Silvia Manetti abbraccia Marginone, dove vivono la madre e la sorella della vittima, che qui si era stabilita per circa un anno. Nicola Stefanini, l’assassino reo confesso della compagna, Silvia Manetti, ha detto al giudice delle indagini preliminari, Marco Mezzaluna, durante l’interrogatorio di garanzia in carcere, che ha avuto un black-out di qualche minuto. Si ricorda di aver fermato l’auto, la Fiat Doblò e di aver iniziato a discutere con la compagna. Qualche ora dopo una cena tranquilla in un locale a Gavorrano per festeggiare il loro terzo anniversario. Poi più nulla.

Il ricordo torna con un coltello in mano, gli abiti insanguinati e la sua donna sul sedile accanto al suo ormai priva di vita e con la gola tagliata. È stato in quel momento che l’uomo, operaio edile originario di Volterra, ha iniziato a urlare e ha avvertito i carabinieri. Che stavano comunque già arrivando sul posto, perché avvertiti dai vicini che si erano accorti che in quell’auto parcheggiata sulla Statale 398, che conduce a Monterotondo Marittimo, era accaduto qualcosa. Sono state due le coltellate inferte al collo dall’uomo alla donna. Sul lato destro del collo, una particolarmente profonda. Stefanini l’avrebbe colpita in un impeto d’ira con il coltello a serramanico che portava sempre in tasca. La donna, da quello che è stato ricostruito dall’autopsia effettuata nella tarda serata di venerdì dal professor Mario Gabbrielli di Siena, ha provato a difendersi con un braccio, mentre cercava di sfuggire a quella violenza inaudita. Ancora sconosciuto il movente: pare che la coppia da qualche settimana avesse affrontato qualche problema legato ai figli della donna, di 10 e 14 anni, avuti da un precedente matrimonio.

La verità però dovrà raccontarla solo Nicola Stefanini quando avrà recuperato la memoria. "Ha un’amnesia totale su quello che è successo – ha detto l’avvocato che lo difense, Rosanna Savelli – Si ricorda tutto quello che ha fatto fino al momento della sosta dell’auto. Quando ha fermato il Doblò per discutere. Poi i suoi ricordi tornano quando è fuori dall’auto, con le mani insaguinate e il coltello abbandonato nell’abitacolo. Ha iniziato un pianto a dirotto, anche davanti al giudice, che non ha permesso di continuare nell’interrogatorio". Difficile prevedere una strategia difensiva diversa, almeno per il momento. "Ora bisogna solo aspettare – aggiunge il legale – Il mio assistito ha dato ampia disponibilità al giudice di essere interrogato nuovamente quando ricorderà il motivo che lo ha portato a ucciderla in quel modo. Quel ricordo deve affiorare nella sua mente".

Matteo Alfieri