"Il patriarcato dietro il rifiuto dei nomi al femminile"

Le esponenti dem intervengono sulla questione del linguaggio rispettoso della parità di genere

Migration

"Il percorso di liberazione delle donne è lungo e tortuoso". Così la conferenza delle donne democratiche di Lucca si esprime sulle scelte politiche che a loro avviso non tutelano i diritti. Ma da cosa le donne dovrebbero liberarsi? "Dalla cultura patriarcale ma anche da quel convincimento errato, proprio a volte delle generazioni più giovani, secondo il quale “un diritto è per sempre quindi non c’è bisogno di tutelarlo” - spiegano le donne democratiche - La cultura patriarcale costringe donne e uomini in ruoli e in comportamenti stereotipati che vincolano e limitano ciascuna persona".

In particolare, secondo loro, tra i simboli pratici di questa mentalità c’è il riscontro avuto dall’emendamento sul linguaggio rispettoso della parità di genere, respinto in Parlamento tanto quanto a livello locale. "Nella nostra città la Giunta municipale da poco insediata ha espresso un’opinione di contrarietà all’usare il femminile nel linguaggio amministrativo - continuano - La questione se l’uso del linguaggio sia un aspetto essenziale del percorso di rispetto della parità o sia del tutto irrilevante, mette in moto molteplici riflessioni che, comunque, non ci distraggono dal riaffermare, con proposte ed azioni, il ruolo che le donne dovrebbero ricoprire. La prima osservazione prende spunto proprio dalle resistenze all’uso del femminile per alcuni termini. Sono proprio poche le parole da porre in discussione: si tratta di alcuni termini che riguardano ruoli e professioni di elevato valore sociale e istituzionale da troppo poco tempo praticati dalle donne e, pertanto, non consueti nel linguaggio quotidiano".

A differenza di quelle professioni storicamente esercitate anche, e soprattutto, dalle donne.

"Non fa alcuna fatica designare una insegnante col termine di “maestra”, mentre per alcune persone è faticoso pronunciare la parola “ministra”. Allo stesso modo si utilizza facilmente il termine “infermiera”, ma non si usa “ingegnera”. Continuare ad usare il termine maschile per designare una donna laureata in ingegneria o titolare di un dicastero significa trasgredire consapevolmente ad una elementare regola grammaticale - secondo le donne dem -. La grammatica elemtare esige infatti che ogni parola venga definita in base al numero, singolare o plurale, e in base al genere, maschile o femminile. Soltanto con alcuni termini la concordanza non viene praticata". Perché?

"Un’interpretazione interessante lega questo atteggiamento da una parte alla mancanza di una lunga storia pregressa, dall’altra alla percezione, perlopiù inconscia, che l’uso del termine con declinazione maschile conferisca maggior prestigio e autorevolezza alla persona che ricopre quel ruolo o pratica quella professione. Se si svela questo meccanismo si impara a fare i conti con temi rilevanti: la presenza delle donne in ruoli di rilievo, la difficoltà di fare i conti con questa presenza, il tentativo di mantenere un linguaggio che non rileva, o addirittura nega, questa presenza, la resistenza ad accettare i cambiamenti sociali che vedono un sempre maggior protagonismo delle donne nei vari ambiti. Se analizziamo la società possiamo facilmente rilevare che, quando le donne si avvicinano a quel potere, non resta loro che comportarsi come gli uomini, aderendo al loro stile e assumendo le parole li definiscono. Il risultato è la tragica perdita della differenza".