Processo Corini. L’infermiere in aula: "La sedazione per lenire il dolore"

L’infermiere ricostruisce il percorso che portò alla morte dell'avvocato Corini

Fabio Giannelli (al centro), già indagato per il caso Corini,  a palazzo di giustizia da testimone

Fabio Giannelli (al centro), già indagato per il caso Corini, a palazzo di giustizia da testimone

La Spezia, 5 febbraio 2019 - "Fui io, il 25 settembre 2015, a decidere di andare a casa di Marzia Corini ad Ameglia, dopo averla sentita per telefono e aver capito che era tristissima per l’aggravamento delle condizioni del fratello e del dolore a cui lo stesso era esposto. Mi chiese di portare del gastroprotettore e un catetere. Passai prima dall’ospedale. Il primario non si sorprese del peggioramento della situazione. Quando arrivai, attorno alle 13, la sedazione era già iniziata; seppi da Marzia che la stessa era stata concordata col medico palliativista sentito in mattinata".

Così Fabio Giannelli, infermiere del reparto di rianimazione dell’ospedale di Pisa, nel processo a Marzia Corini, sottoposto ad un altro martellamento di domande per la morte del fratello avvocato. Ieri è accaduto per effetto del controesame della difesa, ad opera dell’avvocato Anna Francini, dopo l’ultima udienza dedicata all’interrogatorio condotto dal pm Luca Monteverde che, all’inizio delle indagini, aveva indagato il collega dell’imputata per concorso in omicidio volontario per poi convincersi che non ebbe un ruolo attivo nella dinamica dei fatti che, il 25 settembre, portarono al decesso del legale, lo stesso giorno in cui era in programma l’incontro col notaio per precisare le volontà testamentarie, a rischio di nullità (nel testamento olografo c’era solo la firma dell’avvocato). Giannelli è stato a lungo sentito sulle azioni compiute da Marzia nel pomeriggio di quel giorno, dopo la visita del palliativista attorno alle 17, quando armeggiò sulla flebo e sul ‘port’ inserito sul petto del malato terminale.

Alla scorsa udienza palesò il convincimento di un aumento del flusso del sedativo, voluto da Marzia, previa ipotizzata consultazione con un medico (che nel processo ha escluso la circostanza); ieri ha sostenuto che si era generato un problema: «Il flusso non andava più in vena ma era travasato sotto cute, con rallentamento dello stesso e indotto rigonfiamento. Mi adoperai anche io per il ripristino del flusso attraverso il ‘port’, che avvenne nelle modalità precedenti, dopo aver tentato invano un accesso diretto alla vena, sul braccio».

Giannelli ha confermato di aver riferito a Marzia dell’interrogatorio investigativo reso ai carabinieri e del loro interesse a ricostruire quel che avvenne il 25 settembre. Ha parlato anche dello stato d’animo dell’amica dottoressa dopo la morte del fratello: «Era disperata; viveva col senso di colpa di non aver aiutato il fratello a tempo debito: secondo lei doveva essere operato diversamente. All’epoca la sentivo ogni giorno. Capivo che per risollevarsi faceva uso di alcol. Straparlava...» Per Giannelli non è finita qui: per lui, lunedì prossimo, il riesame da parte del pm. Poi altri interrogatori nelle vesti di teste della difesa.

Corrado Ricci