
Raffaele Arzu
Grosseto, 24 settembre 2015 - E’ entrato nell’aula della Corte di Assise scortato da otto agenti. Due militari con il mitra all’inizio dell’aula più grande del palazzo di giustizia. Lui, Raffaele Arzu, noto bandito sardo di 36 anni, rasato a zero e non più con il volto da ragazzino ha preso la parola davanti al tribunale riunito in composizione collegiale.
"Vi faccio risparmiare tempo: sono il colpevole della rapina all’ufficio postale. Vi chiedo solo una pena umana". Al termine dell’udienza lampo il giudice Giovanni Puliatti ha letto la sentenza: tre anni di reclusione per rapina a mano armata. Di contro ai cinque che aveva chiesto il pubblico ministero Stefano Pizza. Ha sbalordito tutti colui che per moltissimi anni, sicuramente prima di entrare nel carcere per scontare il "fine pena mai", è stato considerato tra i trenta latitanti più pericolosi d’Italia. Accusato di rapine e di omicidi. Il 13 maggio del 2013 la Corte di Assise di Perugia lo ha condannato all’ergastolo per la morte del carabiniere Donato Fezzuoglio, freddato dal giovane Arzu nel corso di una rapina messa a segno a Umbertide il 30 gennaio del 2006. Tre anni prima, il due settembre del 2003, un Arzu alle prime armi aveva assalto insieme a un complice l’ufficio postale di San Quirico di Sorano.
Poco più di duemila euro il bottino racimolato nell’ufficio della piccola frazione. Un colpo velocissimo: lui e il complice Marco Pili fecero irruzione con il volto coperto da passamontagna e pistola alla mano. Minacciarono clienti e impiegati e si fecero consegnare i soldi. Poi la fuga su una Uno bianca condotta dal palo, mai identificato. Ci sono voluti dieci anni per chiudere la fase preliminare e arrivare al rinvio a giudizio. A lui gli investigatori arrivarono grazie a un capello. Ieri è stata la seconda udienza, ma non doveva essere l’ultima. La dichiarazione di Arzu, però, lo ha fatto diventare un processo-lampo.
Cristina Rufini