Narciso Parigi: novant’anni d’autore. ‘Ho avuto tanto, cantato e vinto premi’

A Campi Bisenzio il primo appuntamento per festeggiare l’amato artista

Narciso Parigi (Pressphoto)

Narciso Parigi (Pressphoto)

Firenze, 6 maggio 2017 - "Una festa per me? I 90 anni li compio a novembre mica ora». E’ arrivato a un’età Narciso Parigi che si ama festeggiare. Che è quasi un pensiero dove ci vogliono parole per esprimerlo, ispirazione e intuizione. E dove c’è la fatica di vedere quel che ti capita accanto, di accusare colpi non sempre di poesia. Ma ancora, alla soglia dei novant’anni ci può essere curiosità e approfondimento sulla vita. Invecchiare, ma almeno invecchiare sani.

Oggi dalle 16.30 il comune dove è nato, Campi Bisenzio, darà in qualche modo darà inizio ai festeggiamenti al Teatro Dante -Monni.

Narciso e Campi: mica Firenze, vero?

«Sono nato a Campi e ho tutti i miei parenti, genitori e fratelli al cimitero. Sono campato troppo. D’altra parte la vita è fatta di queste cose ma è faticoso perchè c’è sempre una pena in agguato. A Firenze ci abito da sempre».

E tutti le vogliono bene.

«Dici? Anche io voglio bene a tutti e non ho mai voluto male a nessuno. Anche quando ero negli Stati Uniti per lavoro, se potevo far arrivare qualche cantante della mia generazione per me era una festa».

E chi ha fatto arrivare?

«Claudio Villa, per esempio, Luciano Tajoli anche. Mi sono sempre dato da fare per gli italiani in America. Ma mi davano poca retta».

Chi?

«I miei colleghi. A Villa dissi: canta Luna rossa, e lui fece Tintarella di luna. A Mina consigliai di cantare ’Na sera ’e Maggio e invece lei cantò il repertorio della Barbra Stresiand. Insomma dai».

A cosa è dovuto il suo successo?

«Alle canzoni americane cantate in italiano: ho iniziato nel ’55 con Amapola, con cui ho ricevuto tanti premi anche dagli autori. Erano le migliori incisioni e interpratazioni».

In terra straniera anche cinema?

«Certo: in America sono stato protagonista di una ventina di film andati tutti benissimo. Ho avuto dei premi anche in Giappone che neppure mi ricordavo di averle girate certe pellicole».

E poi concerti.

«Tantissimi. E con Tre franchi di pietà ho vinto il disco d’oro a Tokyo. Poi riconoscimenti negli States che non so neppure contare».

Dove non ha ricevuto premi?

«Non ci crederai, ma in Italia. Ho vinto solo i primi due Festival della canzone nel ’48 e nel ’49. Anzi, nel ’55 a Sanremo e mi tolsero anche il brano che doveva vincere, Buongiorno tristezza».

Però lei è famoso lo stesso.

«Per merito di Paolo Limiti che mi ha sempre invitato in tutte le sue trasmissioni. Gli sono grato: è l’unico artista ad aver difeso la canzone italiana in tutti i modi».

E oggi?

«Per carità. Oggi è tutto astratto: dalla musica alla la pittura. La mia paura è che diventi astratta anche l’umanità. E’ roba da pazzi quello che sta succedendo: ammazzano anche i bambini. Si vive male oggi, malissimo. C’è un menefreghismo che fa paura. La gente pensa solo allo shopping, a spendere. Siamo nati in un mondo diverso, noi della mia generazione».

In tempo di guerra, mi pare.

«Una donna mi ha fermato e mi ha detto: ti ricordi come era bello quando non c’era niente? Ci volevamo tutti bene, ci si aiutava, ci si capiva. Eravamo uniti, tutti sulla stessa barca. Mi ha commosso».

Narciso, re delle cittadinanze onorarie.

«Ne ho avute 14, dall’America al Canada all’Europa. E tante soddifazioni».

E l’inno della fiorentina?

«L’ho ricostruito e regalato alla Curva Fiesole. Poi ne ho fatto un altro con Mogol, ma i tifosi non l’hanno mai voluto e preferito il mio. Il coro lo fece gente come Arcadio Venturi, Puccini Scoto, Neri: i giocatori dell’Inter».

Come?

«Mi venivano a sentire incidere e per l’occasione dissi: ora mi aiutate a fare l’inno. Erano altri tempi. Eravamo tutti amici, ci volevamo bene, e non esistevano gelosie».

Di cosa deve essere formata una persona per vivere Narciso?

«Soprattutto di anima».

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