Il Papa a Firenze nel 2015: "Il dialogo è il valore del bene comune

Le parole del Papa durante la visita a Firenze nel 2015

Indimenticabile messaggero di Dio e portatore di gioia. Papa Francesco a Firenze nel 2015, un evento in nome dell’Umanesimo del terzo millennio. Un Papa tra la gente, in 55mila allo stadio Franchi in una dolce giornata di sole novembrino in cui le ombre della sera tardano ad arrivare; un Papa severo e rigoroso tra i vescovi riuniti al convegno nazionale della Cei in Duomo; un Papa che abbraccia Bellezza e Lavoro (la mattina a Prato e il ricordo dei morti nei capannoni cinesi). Papa Francesco lascia il segno, colma vuoti e traccia il sentiero su cui incamminarsi.

Rileggendo la parole del pontefice sembrano scritte adesso. Non sette anni fa e sembrano incastonarsi perfettamente nell’obiettivo che si pone “Mediterraneo, frontiera di pace“: la conoscenza per il dialogo, lo scambio per interagire, la diversità quale valore da condividere. Nel bacino del Mare tra le terre. Terra comune di pace non frontiera di egoismi.

"Siamo qui a Firenze, città della bellezza. Quanta bellezza in questa città è stata messa a servizio della carità! Penso allo Spedale degli Innocenti, ad esempio. Una delle prime architetture rinascimentali è stata creata per il servizio di bambini abbandonati e madri disperate. Spesso queste mamme lasciavano, insieme ai neonati, delle medaglie spezzate a metà, con le quali speravano, presentando l’altra metà, di poter riconoscere i propri figli in tempi migliori. Ecco, dobbiamo immaginare che i nostri poveri abbiano una medaglia spezzata. Noi abbiamo l’altra metà perché la Chiesa madre, la Chiesa madre ha, in Italia, l’altra metà della medaglia di tutti e riconosce tutti i suoi figli abbandonati, oppressi, affaticati. E questo da sempre. È una delle vostre virtù perché ben sapete che il Signore ha versato il suo sangue non per alcuni, né per pochi né per molti, ma per tutti". Già tutti i figli abbandonati, oppressi, affaticati con una metà medaglia da cercare in una Chiesa che si fa missionaria sotto casa come laddove c’è sofferenza come ove i migranti abbandonano affetti e casa per solcare il Mediterraneo per un mondo migliore; un mare di speranza dove criminalità e morte spesso si miscelano in un quadro che trasforma il blu delle onde nel buio della disumanità.

E allora il dialogo, la comprensione reciproca, i ponti sono da costruire, i muri da abbattare. "Vi raccomando anche, in maniera speciale, la capacità di dialogo e di incontro - disse Papa Francesco a Firenze nel 2015 - Dialogare non è negoziare. Negoziare è cercare di ricavare la propria “fetta” della torta comune. Non è questo che intendo. Ma è cercare il bene comune per tutti. Discutere insieme, oserei dire arrabbiarsi insieme, pensare alle soluzioni migliori per tutti. Molte volte l’incontro si trova coinvolto nel conflitto. Nel dialogo si dà il conflitto: è logico e prevedibile che così sia. E non dobbiamo temerlo né ignorarlo ma accettarlo. "Accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo" (Evangelii gaudium, 227). Ma dobbiamo sempre ricordare che non esiste umanesimo autentico che non contempli l’amore come vincolo tra gli esseri umani, sia esso di natura interpersonale, intima, sociale, politica o intellettuale. Su questo si fonda la necessità del dialogo e dell’incontro per costruire insieme con gli altri la società civile. Noi sappiamo che la migliore risposta alla conflittualità dell’essere umano del celebre homo homini lupus di Thomas Hobbes è l’"Ecce homo" di Gesù che non recrimina, ma accoglie e, pagando di persona, salva. La società italiana si costruisce quando le sue diverse riccheze culturali possono dialogare in modo costruttivo: quella popolare, quella accademica, quella giovanile, quella artistica, quella tecnologica, quella economica, quella politica, quella dei media...". Da ciò l’appello alla sua Chiesa che si apra, che ascolti, che sappia dare risposte. "La Chiesa sia fermento di dialogo, di incontro, di unità. Del resto, le nostre stesse formulazioni di fede sono frutto di un dialogo e di un incontro tra culture, comunità e istanze differenti. Non dobbiamo aver paura del dialogo: anzi è proprio il confronto e la critica che ci aiuta a preservare la teologia dal trasformarsi in ideologia". Sottolineaimo queste parole che sembrano scritte sette anni fa per oggi: "Ricordatevi inoltre che il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, il modo migliore, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà. E senza paura di compiere l’esodo necessario ad ogni autentico dialogo. Altrimenti non è possibile comprendere le ragioni dell’altro, né capire fino in fondo che il fratello conta più delle posizioni che giudichiamo lontane dalle nostre pur autentiche certezze".

Riannodando i fili del pensiero che guarda al dialogo non possiamo dimenticare l’insegnamento di padre Ernesto Balducci, sacerdote scolopio, saggista, ideatore dell’Uomo planetario. Una delle figure più originali e catalizzatrici del pensiero del cattolicesimo del secondo dopoguerra. "Finché un buddista, un musulmano, un cristiano pregano da soli, hanno per sé tutto l’orizzonte, si muovono nell’infinito senza intralci, si illudono di parlare a Dio, all’unico vero Dio, in nome di tutto il mondo. Ma messi gomito a gomito, essi sono costretti a lottizzare il mistero e quindi a rendere flagrante la contraddizione tra l’unità indivisibile dell’Essere e la molteplicità delle rappresentazioni, tra il Dio in sé e il Dio per noi" scriveva padre Balducci. Ma si può e si deve andare oltre. Il teorema del proprio Dio si può superare, secondo Balducci, soltanto recuperando una "comunione creaturale" tra gli esseri umani delle diverse religioni. Per guardare insieme al valore terreno e trascendente della Pace.