Editoriale

Un marchio, un volto. Finisce un’epoca

Roberto Cavalli era malato da tempo, e da tempo - quasi una decina d’anni - anche lui aveva ceduto l’azienda a un fondo, poi finito in concordato, e rilevato da un emiro. Ma nonostante della sua moda eccessiva e appassionata non ci sia ormai quasi più traccia, è la morte avvenuta nella sua Firenze a segnare idealmente la transizione definitiva di un’epoca d’oro. Quando la grande moda di casa nostra poteva identificarsi in un nome, in un volto, in una storia. Quella di Cavalli è poi il canovaccio di una favola antica.

Quando la grande moda di casa nostra poteva identificarsi in un nome, in un volto, in una storia. Quella di Cavalli è poi il canovaccio di una favola antica: il padre ucciso dai nazisti durante la rappresaglia di Castelnuovo dei Sabbioni nell’Aretino quando lui aveva solo tre anni, la giovinezza difficile, il diploma all’Accademia di Firenze, i primi successi, fino al boom degli anni ’90.

L’era dorata di una Naomi Campbell a sfilare sul Ponte Vecchio. Perché Cavalli, cresciuto nella bellezza e cibato dell’arte dei pittori macchiaioli di cui il nonno era esponente, proprio di quella bellezza d’ispirazione fiorentina ha vestito top model e attrici, sempre restando fedele alla sua verve da toscanaccio di razza che l’ha fatto amare dallo star system. Un guascone che amava le donne, Firenze e soprattutto la Fiorentina.

Il passaggio di mano ai grandi fondi non è questione di business, ma piuttosto di identità. Lo stesso Ufficio studi di Mediobanca dà un giudizio positivo del made in Italy a controllo straniero che detiene quasi il 40 per cento dell’intero fatturato del sistema moda.

Ma nonostante l’area fiorentina - dalla zona intorno a Bagno a Ripoli a quella di Scandicci - sia sempre più a vocazione moda di lusso (pensiamo all’investimento di Fendi, a quello di Louis Vuitton a Le Sieci, a Saint Laurent a Scandicci), con impiego di capitali importanti dei grandi gruppi, francesi in particolare, Firenze ha via via perduto le storie che l’hanno fatta sognare, legate ai nomi dei grandi creativi.

Resistono i Ferragamo, gli Scervino, i Ricci, ancora per fortuna saldamente di casa nostra. Ma se gli affari ci hanno guadagnato e il made in Italy è ancora fatto qua con una filiera di piccole e medie imprese, inevitabilmente si è perduta la creatività.

Non sarà un caso se lo stesso Roberto Cavalli, negli ultimi anni, si era lasciato andare a un pizzico di amarezza: "Quello che mi manca è creare qualcosa".

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