A processo per uno schiaffo al figlio. Il babbo condannato a otto mesi

Per i giudici non furono maltrattamenti ma abuso di mezzi correttivi

Carabinieri

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Firenze, 19 luglio 2018 - Uno schiaffo una volta e, in un’occasione precedente, «una forte spinta a mano aperta sul petto» non sono maltrattamenti contro i familiari, in questo caso un figlio 15enne. Né lo sono costringere la figlia di 17 a seguire il padre con la forza afferrandola per i capelli. O comunque, un’altra volta, portarla via di peso da casa. Non sono maltrattamenti nel senso del codice penale, ‘giudiziario’ del termine; e tuttavia il genitore che si comporta così, commette reato: abuso di mezzi di correzione e di disciplina. Sa tanto di severissimo Collegio dei primi del ’900 e invece – rispetto ai maltrattamenti – è punito con pena inferiore.

A.B. oggi ha 49 anni, forse si è pentito di certi comportamenti nei confronti dei figli, estate di tre anni fa. E a fronte dei 2 anni e 2 mesi chiesti per lui dal pm, è stato condannato dal giudice Erminia Bagnoli a ‘soli’ 8 mesi, pena sospesa e 5000 euro di risarcimento alle parti civili. Le argomentazioni addotte dai due difensori – avvocati Francesco Maresca e Patrick Simoni – l’hanno convinto a derubricare il reato, dai più pesanti e gravi maltrattamenti appunto al più ‘leggero’ abuso di mezzi correttivi; si configura esclusivamente nei confronti dei figli minorenni, non c’è abuso se le vittime di mezzi di correzione esagerati sono figli maggiorenni. Reato peraltro non facile da interpretare – si legge in siti specializzati – ‘considerata la moltitudine di fattispecie che potrebbero costituire reato’. Un peso l’ha avuto anche il contesto in cui si consumò in quella che è stata una saga familiare: la dolorosa separazione di padre e madre dei ragazzi, il risentimento di lei, l’identico sentimento dei genitori del 49enne, schierati con la nuora; l’avversione dei figli, che esasperarono il babbo, specie quello del maschio quindicenne, bocciato, e più in generale poco rispettoso e pentito col genitore che lo rimproverava. Dunque abuso, per quanto certi atteggiamenti – ha scritto il pm nel suo atto di accusa – siano stati «lesivi della integrità fisica e morale dei figli, del loro onore e decoro».

Quali? Dire al ragazzo che è «un cretino, che lo avrebbe ammazzato di botte, che prima o poi nonostante si nascondesse dalla nonna l’avrebbe beccato da solo e gliel’avrebbe fatta pagare». Alla figlia, dirle «di stare zitta, che andava in una ‘scuola di m...’ che se un giorno avesse avuto un fidanzato l’avrebbe picchiato». L’accusa ha anche messo nero su bianco che i due figli, quando andavano a trovare il padre, erano «costretti a lavare i piatti e a spazzare il cortile». E il ragazzo, così diceva il suo babbo, non era «buono neanche a fare questo».

La vicenda giudiziaria ha tratto origine da una segnalazione di G.a.i.a. (gruppo abusi infanzia e adolescenza) del Meyer, la relazione del pronto soccorso e il referto del ragazzo (si fece curare la perdita di sangue dal naso, 5 i giorni di prognosi), la denuncia della madre dei ragazzi, le testimonianze dei familiari.

giovanni spano

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