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Messa di Natale: "Umiltà e povertà, questo insegna Gesù" / FOTO

L'omelia del Cardinale Betori in cattedrale nella notte di Natale

Messa di Natale in Duomo celebrata dal cardinale Betori (Umberto Visintini/New Press Photo

Firenze, 25 dicembre 2017 -  Tradizionale messa la notte di Natale nel duomo di Firenze.  Ecco il testo completo dell'omelia del cardinale Giuseppe Betori.

Tutti noi avremmo voluto esserci in quella notte a Betlemme, accanto alla mangiatoia in cui Maria e Giuseppe hanno deposto il Bambino appena nato. E ritengo che sia nostro dovere chiederci come possiamo trovare posto là dove oggi nasce per noi il Salvatore. Ma, come accade ad ogni festa, occorre essere invitati. Alla grotta di Betlemme non sembra che siano stati invitati i potenti del mondo e tanto meno chi possiede ricchezze, né i difensori delle sacre tradizioni o gli artefici di un pensiero che vorrebbe dominare il mondo, né i custodi di poteri religiosi che erigono barriere attorno a Dio. Accanto al Bambino troviamo invece sua madre, Maria, colui che dovrà custodirlo come un padre, Giuseppe, e alcuni pastori, che accorrono dopo aver avuto indicazioni da un angelo.  

Chiediamoci cosa fa sì che costoro abbiano meritato l’invito, dovendo supporre che l’invito a incontrare Gesù e a stargli accanto sia legato ad alcune disposizioni che caratterizzano ciascuno di loro. Maria, anzitutto, la giovane ragazza di Nazareth che un angelo di Dio aveva chiamato: «Piena di grazia» (Lc 1,28), ma, in risposta, aveva definito se stessa: «Serva del Signore» (Lc 1,38). Era giunta a Betlemme «incinta» e proprio in quel piccolo villaggio di Giudea, in cui tuttavia erano le origini del re Davide, «si compirono per lei i giorni del parto» (Lc 2,5-6). «Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (Lc 2,7): le parole della narrazione evangelica collocano questo evento – che è la nascita di quel Gesù di cui l’angelo a Nazareth aveva detto che «sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo» (Lc 1,31) – in un contesto di assoluta precarietà e indigenza, il mondo dei poveri e degli umili.

E proprio in questo mondo Maria aveva collocato se stessa,rispondendo all’esaltazione che ne aveva fatto Elisabetta, riconoscendo che il Signore aveva fatto in lei grandi cose «perché ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1,48). Umiltà e povertà sono due designazioni della medesima condizione della persona priva di ogni sicurezza umana, come insegna Gesù nel vangelo, dove ci chiama a essere «poveri in spirito» (Mt5,3) e al tempo stesso propone se stesso come modello definendosi «mite e umile di cuore» (Mt 11,29).  

E all’umiltà Papa Francesco ci aveva richiamati due anni fa in questa cattedrale, invitandoci ad assumere gli stessi sentimenti di Cristo, primo fra tutti appunto l’umiltà: sentimento di Cristo e, questa notte, diremmo sentimento anche di Maria. Ci disse il Papa: «“Ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a sé stesso” (Fil 2,3), dice san Paolo ai Filippesi. Più avanti l’Apostolo parla del fatto che Gesù non considera un “privilegio” l’essere come Dio (Fil 2,6). Qui c’è un messaggio preciso. L’ossessione di preservare la propria gloria, la propria ‘dignità’, la propria influenza non deve far parte dei nostri sentimenti. Dobbiamo perseguire la gloria di Dio, e questa non coincide con la nostra. La gloria di Dio che sfolgora nell’umiltà della grotta di Betlemme o nel disonore della croce di Cristo ci sorprende sempre». Parole da meditare con particolare intensità in questa notte di Natale, parole che, esaltando l’umiltà, suonano come netto rifiuto dei miti di autosufficienza che nutrono i sogni malati della cultura oggi dominante.  

A Betlemme, accanto a Maria, silenzioso, troviamo Giuseppe. I vangeli non ci riportano sue parole, ma per lui parlano i gesti, in particolare l’immediata risposta che egli dà alle parole di Dio che gli giungono nel sonno, a cominciare da quando ci viene riferito che «Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa» (Mt1,24). Accogliendo nella propria vita Maria, Giuseppe può stare anche nellagrotta di Betlemme quando lei dà alla luce il Figlio di Dio. È la sua obbedienza a dargli accesso alla mangiatoia e tale atteggiamento, che connota l’intera sua vita. gli merita l’appellativo di «uomo giusto» (Mt1,19), con cui viene definito all’apparire sulla scena della narrazione evangelica.  

La giustizia, come conformità della propria esistenza, in ogni scelta,al disegno di Dio e alla sua volontà, è dunque l’altra virtù che permette a di stare accanto al Figlio di Dio che viene nel mondo. Di nuovo un atteggiamento che contrasta con un’altra delle caratteristiche tipiche della mentalità diffusa, in cui viene esaltata l’autonomia e la possibilità di autodeterminarsi secondo propri criteri e desideri. Un mito che, come peraltro quello dell’autosufficienza, contribuisce notevolmente a creare diseguaglianze e squilibri tra chi ha e può e quanti invece sprofondanosempre più nella miseria e nel disagio. Il miraggio dell’umanità adulta si traduce nell’amara realtà della crescente ingiustizia, della sempre più estesaesclusione, della dominante inequità, come la chiama Papa Francesco. L’umanità che si libera dall’obbedienza a Dio e alla sua parola si condanna alla divisione e all’oppressione dei più deboli. Infine, alla grotta di Betlemme vediamo incamminarsi alcuni pastori.Il vangelo ce li ha presentati mentre «pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge» (Lc 2,8). Il loro stare all’aperto li colloca in uno spazio di libertà, senza i vincoli costrittivi di una costruzione, di un ambiente chiuso che, proprio nel momento in cui fornisce un riparo, definisce però anche un limite, l’esclusività diun’appartenenza. È nello spazio della libertà che l’atteggiamento dell’ascolto può essere esercitato al meglio e permettere a una voce inattesa di giungere al nostro cuore e aprire nuovi orizzonti. Ma la libertà da sola non basta per giungere all’ascolto. Occorre anche sfuggire alla superficialità e alla disattenzione. Occorre cioè essere vigilanti, come chiederà tante volte Gesù nel corso della sua predicazione, quale condizione irrinunciabile perché la sua venuta non ci colga impreparati o addirittura passi invano. Vigilanza come capacità di cogliere i segni dei tempi, i segni della presenza di Dio nella storia, perché non accada di confondere le voci degli angeli con dei rumori importuni efastidiosi. E, per maturare l’atteggiamento della vigilanza, i pastori inoltre ci insegnano che occorre uscire da sé stessi, dal ripiegamento sui propri interessi e vivere nella responsabilità, quale quella che essi esercitano nel prendersi cura del gregge, facendo la guardia: «vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge» (Lc 2,8).  

Solo chi è responsabile verso gli altri, chi vive nell’attesa vigilante, chi si muove nella libertà può maturare quella virtù dell’ascolto che, come ipastori ci mostrano, permette di cogliere l’invito a incontrare il Signore: «vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,10-11). L’umiltà di Maria, dunque, e poi l’obbedienza di Giuseppe e, infine,l’ascolto dei pastori. Con questi sentimenti si può entrare nel presepio, si può stare accanto al Signore. Tutti coloro che lo incontrano, poi, maturano un ulteriore atteggiamento, che i racconti di Natale ci dicono essere condiviso da quanti stanno attorno alla mangiatoia: la meraviglia e la lode. Gli angeli lodano Dio dicendo: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2,14). E, più avanti, il racconto riferirà che, dopo essere stati alla grotta, «i pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro» (Lc 2,20), mentre al loro riferire le parole degli angeli a riguardo del bambino, «quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori» (Lc 2,18). E «Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19). Lo stupore meditativo e la lode siano i sentimenti del nostro cuore mentre incontriamo questa notte e ogni giorno Gesù. Sia questo il nostro buon Natale! Giuseppe card. Betori