REDAZIONE FIRENZE

L’orgoglio di Firenze per il figlio strappato via Baggio, il nostro ultimo tumulto dei Ciompi

Il film Netflix che racconta la storia del Divin Codino sfiora appena la sua alba fiorentina. Eppure qui Roby risvegliò l’orgoglio di un popolo

di Stefano Cecchi

era un ragazzo che come noi amava gli Eagles e la musica pop. Girava l’Italia, veniva da Caldogno, provincia laboriosa di Vicenza. Non era bello ma accanto a sé aveva mille attenzioni e la meraviglia che regala chi sa giocare bene a pallone.

E lui Roberto Baggio, eccome se giocava bene a pallone. Una sorta di artista con una tavolozza di colori da stendere sul prato verde, un Raffaello Sanzio che trovava compimento nel dribbling e nelle fughe verso le porte avversarie. Tratti di luce e poesia magnetica del gol.

In questi giorni su Netflix sta andando in onda un film sulla sua vita, il "Divin Codino" per la regia di Letizia Lamartire, e mezza Firenze è corsa a guardarlo con una sorta di curiosità affettuosa.

Perché Roberto Baggio è stato un figlio acquisito di questa città, un pezzo di storia rapido ma significativo. La fiction per la verità ciò lo ricorda poco. Del suo percorso formativo fiorentino si vedono gli inizi, quando arrivò da Vicenza con un ginocchio sbriciolato e, allenamento dopo allenamento, seppe riconquistare con sacrifici enormi il campo. E poi si vede l’amicizia che si generò con il titolare di Mister Disco, negozio che allora stava in via Calatafimi, E che produsse l’adesione al buddismo del campione (anche se la sceneggiatura di tutto l’episodio è davvero basic). Niente più.

Un vuoto pressoché totale degli eventi significativi della sua vita sportiva (non solo non c’è traccia del Baggio viola ma nemmeno del suo passaggio nelle grandi squadre, Juve, Inter o Milan che fossero, e anche del suo cammino azzurro si racconta solo il mondiale Usa, quello del rigore calciato alle stelle), per lasciare ampio spazio al rapporto complesso fra Baggio padre e figlio, in una sorta di viaggio dentro l’anima di un fragile ragazzo d’acciaio.

Ed è un’assenza, quella sportiva, che pesa. Perché il divin codino, come pochi altri sportivi, ha segnato la storia contemporanea di Firenze. Un ragazzo semplice, uno che non frequentava ambienti vip ma si ritrovava con gli amici a recitare il nam myoho renge kyo, che lo stesso riuscì a portare la città in piazza nell’ultimo moto d’orgoglio popolare che Firenze ha prodotto.

Sì, Baggio è stato per Firenze un eroe popolare come lo erano stati i ciompi e Michele di Lando 600 anni prima. Quel giorno dell’estate del 1990 in piazza a protestare per il suo trasferimento a Torino, non c’erano solo gli ultras o gli abbonati della Maratona. Quel giorno, col cuore in tumulto, c’erano gli studenti e i pensionati, i barbieri e i professori universitari, i biologi e le casalinghe, che magari la Fiorentina la sentivano nominare solo dai figli ma, lo stesso, corsero in piazza perché sentirono che così facendo si era fiorentini.

Provando suppergiù la stessa sensazione che al tempo si era provata quando Napoleone voleva portarsi in Francia le opere degli Uffizi o quando l’Arno danneggiò il Cristo di Cimabue in Santa Croce. L’idea che alla città stesse venendo sottratto ingiustamente qualcosa di bello che le apparteneva e per questo era doveroso protestare.

Il Firenze pride, diremmo oggi che per farci comprendere dobbiamo usare termini inglesi. E Baggio in tutto ciò non fu attore casuale. Perché Roberto, e questo il film che pur non è granché lo racconta bene, è sempre stato un figlio del popolo. Uno che quando annuncia al padre il passaggio alla Fiorentina per 2 miliardi e 700 milioni di lire, come risposta si sente dire: "Ottimo, così mi ripaghi dei vetri che hai rotto in officina. E per me resti uguale agli altri, perché non me ne frega niente se tu guadagni più di tuo fratello che si fa il culo in fabbrica".

Un ciompo sotto le falsi spoglie di un privilegiato. Uno che non poteva piacere fino in fondo a Gianni Agnelli, che infatti, nonostante vestisse il bianconero, non gli hai mai risparmiato punture velenose, dal "9 e mezzo" fino al "coniglio bagnato". Pazienza. Roberto Baggio è stato di altri.

Un pallone d’oro proletario, patrimonio dell’umanità sportiva popolare, che non è mai stato celebrato dalle metropoli ma della "provincia migliore", fosse questa Firenze, Bologna o Brescia. Ecco perché quando si parla di Baggio, fosse pure in un film rarefatto, chi ha la "c" aspirata prova un brivido d’orgoglio.

C’era un ragazzo che come noi amava gli Eagles e la musica pop. Girava il mondo ma poi finì a fare l’ambasciatore di pace in favore dei bisognosi. Capelli lunghi non porta più, non calcia più il pallone ma ogni volta che si parla di lui è come una ventata buona per Firenze.

Che, vedi mai, si ricordasse di nuovo di cosa è capace quando tira fuori l’orgoglio come fece nel 1990 con lui, e lo facesse pure in altri campi, dall’economia alla cultura, dalla finanza all’industria fino alla politica.... Baggio, o anche l’idea di cosa sarebbe Firenze se avesse la capacità di difendere se stessa.