"La villeggiatura era tutta nelle mani di nonna Quei mesi in montagna tra affetto e farina"

L’attrice Daniela Morozzi racconta le sue estati da piccola: "Un esercito di bambini senza nemmeno un litigio. Alla mia famiglia devo tutto"

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di Titti Giuliani Foti

"Devo tutto alla mia famiglia, a come mi hanno educata e fatta crescere. Devo alla mia famiglia il senso della parola vacanza che significava e ancora significa per me, ritrovarsi e condividere. E volersi bene, serenità. E senza nasconderci i problemi".

C’era una volta un grande clan matriarcale, anzi, una specie di comune. Fatta di nonna, zii, cugini e tanti amici. Una famiglia che ogni giorno d’estate apparecchiava per minimo venti posti in tavola, dove tutti avevano le loro mansioni e i loro ruoli. C’erano sempre posti in più per chi sarebbe arrivato a sorpresa.

Una famiglia dove i bambini erano la vera ricchezza e dove la storia si tramandava a colpi di ricette, cibi e racconti. Daniela Morozzi e la fu villeggiatura di un’interprete bella, bionda, paffutella, sorridente, rubata al teatro dell’improvvisazione della famosa Liit, prima come attrice, poi come insegnante e poi come direttrice artistica. Da qui un’ascesa irresistibile. Il bello della Morozzi – anche lei si chiama così a volte – è questo però: non sentirsi mai arrivata e ricominciare daccapo il più possibile con umiltà. E non aver mai tradito il teatro.

Daniela e gli affetti a cui deve tutto.

"I ricordi di una villeggiatura: In casa mia non c’è mai stato il senso di vuoto e d’attenzione, la chiacchiera culturale era discutere la quotidianità che non ha mai sostituito completamente qualsiasi approccio pensato verso la letteratura o la solitudine. O, ancora, verso il senso incombente di un tempo sempre più breve per poter ancora progettare e migliorare".

Vacanze, Daniela Morozzi: quanto tempo è passato da questa parola?

"Io penso a quel bisogno di perdermi in certi abbracci, di vedere il lavoro ma soprattutto l’incanto premeditato di raccontare. Si dice o non si dice ai figli che le figure genitoriali sono memoria fino allo spasimo? Ecco, per me le vacanze sono questo: spazio di memoria. E sono spaventata dal tempo che scorre via sempre più veloce".

Daniela se le dico villeggiatura, cosa mi risponde?

"Era un miraggio: i miei hanno sempre lavorato 24 ore al giorno e allora si dividevano i compiti sui figli con la nonna Lisa, che teneva me e tutti i cugini per l’estate. Era la donna di casa, una filastrocca di bambini, che aveva avuto e accudito 10 figli. E la villeggiatura era nelle sue mani. Prima ci portava in montagna vicino a Monghidoro, che se non c’era nato Gianni Morandi non lo vedevi neppure su Google Maps. Andavamo sempre lì e ci passavamo tre mesi, tranne 15 giorni per andare al mare. Un esercito di bambini".

Tutti a tavola?

"La nonna faceva da mangiare per un esercito. Non solo cucinava, era una maga della pasta fatta in casa e ci mandava a prendere le more per le sue marmellate e l’ortica per il ripieno dei tortelli".

Nonna: segni particolari?

"Doveva organizzare bene perché in campagna ci si sporcava e, per lavarci a turno, metteva una tinozza di alluminio davanti a casa per fare il bagno a due a due. Ci aveva insegnato anche il gioco di costruire fortini e ci portava sul fiume a raccattare le nocciole".

Vita collettiva?

"Quando siamo in tanti è tutto attutito. Non ricordo litigi. Eravamo una famiglia contadina trasferita in città, ma rimanevamo una famiglia contadina, come in ‘Novecento’ di Bertolucci. Gli uomini facevano l’orto e i lavori, le donne svuotavano le materasse e pulivano la lana. Ricordo le distese di lenzuola".

E finita la scuola?

"Aspettavamo a gloria il mio babbo Lorenzo, lo zio Guido e lo zio Ennio, perché preparavano le altalene e la pista per giocare a bocce la sera. E lavoravano tantissimo tutti, dalla mattina alla sera. Il mio babbo, operaio alla Fiorentina Gas, aveva una passione anche per la muratura. Ha tirato su le case a tutta la famiglia. Ma se avevi bisogno di un elettricista o un imbianchino, chiamavi uno degli zii. In questo posto di montagna, poi, andavamo a prendere il latte fresco, dove inzuppavamo morbide molliche di pane per la colazione".

Famiglia?

"Vivevamo nella farina, perché la nonna Lisa faceva gnocchi e tortellini. Non era la nonnina che ti accudisce: era rubusta, alta un metro e 70. Stavamo fuori tutto il giorno, ma insieme: questo è il senso della famiglia per me".

Giochi.

"Carte: briscola e scopa a gruppi. E poi cowboy e indiani: la campagna era perfetta".

E al mare?

"Siccome dicevano che il mare fa bene, ci ritagliavamo 15 giorni a Rimini, Miramare, Rivabella e prendevano una pensione. Sempre insieme. Occupavamo tutto lo stabile. I miei erano pazzi di Raul Casadei: il primo concerto che abbia mai visto è stato uno dei suoi".

La nonna, il mare e pure Casadei...

"L’unico video musicale che ho fatto in vita mia, per un caso, è stato proprio per Casadei. Facevo la piadinara. Con un regista, Michele Ferrari, a cui ho detto: non sai che regalo mi hai fatto. E’ stato come onorare tutta la mia famiglia, con questo video. Era come se il cerchio si chiudesse".

Il senso del ricordo?

"Portare in giro più un’anima che un corpo. Essere qui per guardare fuori, non per controllare l’effetto che potresti fare o non fare sugli altri. Guardare: con la smania della villeggiatura che fu".

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