Un ricordo di Mario Sconcerti. Spirito ribelle e cuore viola. Studioso atipico del calcio

Si è spento a 74 anni lo storico giornalista e scrittore. Dopo la Fiorentina, la sua passione erano le tattiche militari degli antichi. L’esperienza da dirigente per Cecchi Gori

Mario Sconcerti

Mario Sconcerti

Firenze, 18 dicembre 2022 - Irruento, appassionato, umorale, istrionico, nemico giurato di ogni banalità, di ogni frase fatta. La Fiorentina nel cuore, il giornalismo come missione, una carriera vissuta sul podio dei migliori. Mario Sconcerti ci ha lasciati, a 74 anni. Ed è impossibile non fare i conti con i ricordi, le sfuriate, le pacche sulle spalle, le idee che viaggiavano spesso contromano.

Perché ciò che era ovvio non meritava alcuna fatica, quella andava messa per trovare le notizie, per inventare una pagina su un personaggio, un’idea forte per la Prima. Sconcerti aveva il cuore diviso tra Firenze e l’Appennino pistoiese.

Aveva giocato a calcio e di calcio era malato, anche se da ragazzo, con la macchina da scrivere, aveva battuto molte strade, compreso il ciclismo, sua grande passione. Amava la bella scrittura, dava occasioni ai giovani talenti, lui che, arrivato a "Repubblica", aveva fondato le pagine sportive del giornale e stretto un legame indissolubile con Gianni Brera, un giovane Gianni Mura, Gianni Clerici, Mario Fossati ed Emanuela Audisio, penne di immenso valore.

Amava gli scrittori, sì, ma anche chi amava scavare là dove non c’è luce e puoi trovare per primo le notizie. Godeva nel "fare" il giornale, anche a Firenze. Era l’autunno del 1988, iniziava la sfida nella sua città, quella che amava spremendosi il cuore e con la quale spesso litigava. Il suo umore mattutino era la variabile che teneva tutti in tensione.

Con un “capo” così ci sta di non dormire la notte, ma con quel ”capo”, se eri un ragazzo, avevi avuto la possibilità della vita: dopo sarebbe stato tutto più semplice. Lo “odiavi” perché aveva fatto a pezzi il tuo stupido ego e poi lo “amavi” come un padre che ti ha lasciato frasi che diventano bussola del mestiere. Mario Sconcerti era così, un grande “io” che nascondeva una profonda autoironia e una dolcezza a volte sorprendente. Amava la Fiorentina e la storia, che studiava con voracità. Le tattiche militari degli antichi, la vita di Napoleone. Aveva fame di cultura e rispettava chi ne aveva più di lui, perché, come tutte le persone intelligenti, conosceva l’umiltà.

Il suo amore per la Fiorentina non lo ha fatto resistere al richiamo di una carica di spessore in società. Erano gli ultimi sospiri dell’era Cecchi Gori. Lui ci aveva infilato dentro l’anima a forza perché ci credeva. Era “La” missione. E per questa ha lottato fino a starci male, combattendo con tutti in nome di quell’amore infinito.

Ha perfino litigato col suo mito Antognoni, Sconcerti, e ne aveva sofferto. Poi è uscito di scena per tornare a fare il suo mestiere, il direttore: il Secolo decimonono a Genova, il Corriere dello sport, la vicedirezione della Gazzetta e poi il ruolo di prima firma di calcio sul Corriere della Sera e di opinionista in tv. Sconcerti era divisivo, originale, ironico. Uno di quelli che stavi sempre a sentire perché ti diceva sempre quella cosa a cui non avevi pensato. I grandi maestri sono fatti così. E oggi puoi provare solo tristezza senso di gratitudine.

è arrivata su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro